STALKING: LA RECIPROCITA’ NON LO ESCLUDE

Quando  l’art. 612-bis c.p.  rubricato “atti persecutori”, fu introdotto nel 2009 nel codice penale, questo termine “stalking” risultò totalmente nuovo alle orecchie di noi tutti. Oggi invece, soprattutto grazie ai media, questo bb1èdiventato per la gente un termine fin troppo familiare.

Tutti sanno infatti, che per stalking si intendono una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo che affligge un’altra persona, perseguitandola e generandole stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità.

Il termine inglese stalking, suggerito dalla letteratura scientifica specializzata anglofona in tema di molestie assillanti, intende indicare, quindi, un insieme di comportamenti molesti e continui, costituiti da ininterrotti appostamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti comunemente frequentati dalla vittima, ulteriormente reiterati da intrusioni nella sua vita privata alla ricerca di un contatto personale per mezzo di pedinamenti, telefonate oscene o indesiderate. Include, inoltre, l’invio di lettere, biglietti, posta elettronica, SMS e oggetti non richiesti.

bb2A parte le recenti modifiche legislative sul punto e l’introduzione di nuove norme accessorie che oltre a  delineare  in maniera più definita i contorni della fattispecie criminosa in esame, mirano anche ad essere un potente deterrente mediante l’introduzione di aggravanti e aumenti di pena notevoli, ciò che è degno di nota è una  recente sentenza della Cassazione penale n° 45648 emessa il 14.11.2013.

La Cassazione penale ha stabilito che la fattispecie di atti persecutori può configurarsi anche nel caso di reciprocità di atti molesti tra la vittima ed il reo.

La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude, quindi, la configurabilità del delitto di atti persecutori; tuttavia, in tale ipotesi, incombe sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza del danno, bb3consistente nello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, nel suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o nella necessità del mutamento delle abitudini di vita. Se le condotte maturano in un ambito di litigiosità tra due soggetti, tale per cui sussiste una posizione di sostanziale parità, non può parlarsi di condotta persecutoria nei termini previsti dall’art 612 bis c. p., il quale fa riferimento ad una posizione sbilanciata della vittima rispetto all’autore dei comportamenti vessatori o intimidatori.
Secondo gli ermellini “il termine reciprocità non vale, dunque, ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte persecutorie ex art. 612 bis c. p ., occorrendo che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita”.

Quindi a chi tende a giustificare le proprie colpe con le colpe altrui:  NON CI SONO GIUSTIFICAZIONI!

a  cura di Concetta Vernazzaro