SAL DA VINCI: UN’ANIMA IN MUSICA.

gfdLa serata era iniziata con il sentore che qualcosa di particolare mi sarebbe accaduto. Ciononostante, fino alle 22,00, non ero stata ancora baciata dalla fortuna. Si fa bene invece, ad avere fede e ad attendere che qualcosa di buono arrivi, in quanto spesso e volentieri, piacevoli imprevisti, si verificano inaspettatamente.
E’ stato così che, con un colpo di coda, quella giornata apparentemente normale ha preso valore regalandomi un breve colloquio con un artista speciale, seguito ad una sua ampia performance musicale e canora.
Il mio incontro con Sal Da Vinci, ha luogo tra le bouganville di Tenuta Cigliano in maniera del tutto casuale. E la casualità mi permette di assistere ad una sua esibizione, a circa 9 anni dall’ultima volta che lo avevo visto live sul palco, interprete di Saverio in “C’era una volta Scugnizzi”.
Unico nell’interpretazione, mi dà i brividi quando propone “Tu ni ‘na cosa grande” di Modugno, e “Malafemmena”. Risveglia inoltre il meglio di Napoli, cantando “A città ‘e Pulecenell’”.
Parla di fede, d’amore e di terra, e riconosco nelle sue parole un po’ di me; La sua professionalità e la sua serenità m’incantano. E nella mente iniziano ad affollarsi domande su domande, cose da chiedere ad una persona così interessante. La fortuna, ma soprattutto la gentilezza della sua manager mi permettono, inaspettatamente, di porgli qualche domanda vis à vis, e colgo l’occasione per proporgli qualche spunto per parlarmi della Sua Napoli, della sua esperienza, dei suoi punti di vista sulle cose:
“L’essere napoletani spesso risulta non facile, quando si tratta di uscire al di fuori della realtà partenopea e confrontarsi con un mondo che spesso vive di altre regole; musicalmente parlando, avendo portato la voce di Napoli in un universo più ampio, in cosa ti sei sentito diverso, rispetto agli altri artisti?”
Dopo aver sorseggiato dal suo bicchier d’acqua, mi risponde:
“In realtà non mi sono mai sentito diverso rispetto a qualcosa o qualcuno che non combaciasse col mio essere. Canto e faccio musica nello spirito di voler portare fuori dalla mia Casa la mia cultura e le mie radici, cercando di farmi comprendere al meglio da tutti, in particolare da coloro che hanno radici altrove, e non condividono con me l’appartenenza a questa terra. Per far si che ciò avvenga, canto prevalentemente in italiano, in quanto benché sia innamorato del mio dialetto, credo sia giusto rendere partecipi tutti di un certo sentire.”
Ripensando a tutte le sue canzoni d’amore e di passione, muoio dalla curiosità:
“Credi che l’essere napoletano influisca favorevolmente ed in modo particolare sul tuo modo di cantare l’amore?…L’appartenenza ad una delle città più romantiche del mondo credi che dia una marcia in più al tuo modo di scrivere?”
“E’ vero che nelle mie canzoni l’amore è proposto ripetutamente, spesso tramite il racconto di storie d’amore. Ciononostante, al di là delle vicende che racconto, c’è sempre un senso d’amore più profondo. La descrizione dell’amore è qualcosa di incredibilmente vasto che non è facile rendere e cogliere…neanche per un napoletano. “
Osservandolo, sicuro ed elegante in camicia nera, mi viene in mente la sua immagine stampata su infiniti cartelloni pubblicitari sparsi per la città, e riferiti al suo ultimo spettacolo:
“Ti abbiamo visto recentemente esibirti al Teatro Augusteo con una celebre pièce di Viviani: “Napoli, chi resta, chi parte”. Benchè sia una riproposizione di uno spettacolo noto ambientato negli anni ’20, il titolo suona molto attuale; Cosa credi che sia cambiato tra le partenze degli emigranti degli anni ’20, e quelle di coloro che lasciano Napoli oggi?”
“Sembrerà banale, ma non vanno tralasciati i cambiamenti pratici che distinguono un viaggio dell’epoca, quasi un’impresa, rispetto ad una partenza attuale, con una minima percentuale di rischi. Le valigie di cartone, le lunghe traversate in nave, i viaggi della speranza…tutte cose che erano alla base del concetto di emigrazione. Particolare fondamentale, una volta partiti e giunti a destinazione bisognava avere la consapevolezza che non si sarebbe tornati mai più,che si era detto addio per sempre alla proprio Casa. Oggi, se non altro, per coloro che partono resta quasi sempre la sicurezza di poter tornare indietro, in caso di insuccesso. Questo sgrava la partenza del peso del dramma, e non è cosa da poco.”
Dopo la sua risposta, la domanda provocatoria sorge spontanea:
“Credi dunque che, guardando Napoli oggi, ci voglia più coraggio a restare, piuttosto che a partire?”
“Credo che occorra coraggio per affrontare entrambe le scelte.”Mi dice, sicuro.
“Per un napoletano, lasciare la proprio terra è qualcosa di incredibilmente doloroso. E’ indubbio che, per molti, il rapporto con questa città sia piuttosto conflittuale, in bilico tra amore e disappunto. Nonostante ciò, decidere di abbandonare i luoghi di una vita, ed una terra che ci tiene legati come una madre troppo apprensiva, crea una ferita profonda in tutti coloro che prendono la via della partenza. “
Passiamo allora alla fatidica domanda che si pone ad ogni artista che abbia percorso,almeno una volta, il trampolino di lancio per eccellenza:
“Qual è una cosa che ha rivoluzionato completamente la tua vita in seguito alla partecipazione a Sanremo 2009?”
“Fondamentalmente, non credo che ci sia stato alcunché che abbia significato per me una svolta. E’ stata senz’altro un’esperienza che mi ha arricchito e mi ha sorpreso regalandomi un podio inaspettato, ma, al rientro a casa, in me non era cambiato nulla. Unica cosa, forse, l’aumento di popolarità e di visibilità che ha seguito la mia partecipazione al Festival.”
Infine, la prova della verità: Napoli, restare o partire?
“Sei un artista che, raggiunto il successo e l’apprezzamento di un pubblico vastissimo, ha deciso di restare a casa propria. Come mai?”
“Sento troppo forte il legame con la mia Terra”,mi risponde. Ripenso al modo in cui ha cantanto Napoli poco prima, e mi accorgo che già sapevo cosa mi avrebbe risposto.”
“ Amo la mia casa e la mia città, che ho avuto anche l’onore di cantare nel Musical “Scugnizzi”, e che tanto mi ha dato. La famiglia, le amicizie e il sostegno dei miei conterranei sono qualcosa di cui non riuscirei a far a meno. Ogni qualvolta parto, torno sempre volentieri. L’unico mio rammarico, è il non sapere come dividermi in certi momenti per sostenere sia impegni di lavoro che di vita privata. Spesso, mi farebbe piacere avere più tempo da dedicare ai veri amici.”
La nostra conversazione si chiude così, con una parentesi in cui gli confesso che, la prima volta che ho assistito al suo “Scugnizzi”, ho pianto senza sosta di commozione. Lo ringrazio, e gli faccio i miei migliori auguri per la sua vita e la sua carriera. Lui mi risponde cortesemente, ed io mi allontano.
Continuo a sentirmi stralunata, ripensando alla musica,a ciò che mi ha detto, agli strani casi della vita che intreccia destini imprevedibili anche solo per un secondo. E penso a quanto tutto ciò sia incredibile.
A volte basta poco per avere la prova che dietro di noi vi sia qualcosa di magico. Io, quella sera, ho visto magia nello scoprire una personalità profonda tanto quanto le parole delle sue canzoni. Ed ho avuto la riconferma che in ogni cosa, se c’è anima, c’è senso.
Arabella Frola