L’ABITO FA O NON FA IL MONACO?

80608178Alla domanda “quanto conta l’aspetto fisico durante un colloquio di lavoro?”, il buon senso, e la legge, dicono che non dovrebbe essere un elemento di discriminazione, ma la realtà è ben diversa.

Un sofisticato studio afferma che i candidati con imperfezioni del viso evidenti come cicatrici, grossi nei o vistose macchie sulla pelle, sono piuttosto svantaggiati nei processi di selezione del personale. Infatti, secondo gli scienziati gli intervistatori sarebbero distratti dai difetti epidermici e non ascolterebbero con la dovuta attenzione ciò viene detto loro dall’aspirante lavoratore.

Tale tesi è stata dimostrata da Mikki Hebl e Juan Madera, psicologi presso l’Università di saio-MA-SE-NON-LO-INDOSSA-UN-MONACO...Houston. I due ricercatori hanno chiesto a 171 studenti di effettuare dei colloqui di selezione ad alcuni candidati per un ipotetico posto di lavoro.
Le interviste sono state effettuate al PC con un sistema di videoconferenza, mentre una speciale telecamera controllava i movimenti degli occhi dei volontari registrando secondo per secondo dove si posava il loro sguardo. Alla fine dei colloqui è stato chiesto agli intervistatori di spiegare cosa ricordavano dei diversi candidati.
«Solitamente, quando si parla con una persona si è attratti dal triangolo occhi-bocca», spiega Madera, «nel nostro esperimento abbiamo constato che più l’attenzione si spostava verso altre zone del viso, meno gli studenti erano in grado di ricordare ciò che aveva detto il candidato».

La seconda parte dell’esperimento ha coinvolto 38 manager, abituati a condurre colloqui di selezione per le loro aziende, e alcuni ipotetici candidati con evidenti segni sulla pelle del volto. I 38 dirigenti hanno condotto le interviste dal vivo, ma nonostante la loro età ed esperienza hanno avuto non pochi problemi a gestire l’imperfezione fisica degli aspiranti collaboratori.
Hebl e Madera sperano che il loro lavoro permetta alle aziende di prendere coscienza di questa pesante forma di discriminazione che viene inconsapevolmente praticata dal personale addetto alla selezione.
«Gli studi che dimostrano come particolari gruppi di persone siano svantaggiati nella ricerca di un lavoro sono tanti» spiega Hebl, «ma il nostro lavoro è il primo a far luce sul perchè questo succede».

A cura di Valeria Sorrentino.