Il Natale dei bambini è più bello!

20101211NativitàQuando si avvicina la fine di un anno solare sembra sempre il momento giusto per guardarmi un po’ indietro scrutando nei meandri delle storie che mi hanno accompagnato e chiedermi se c’è stata una progressione nel mio essere uomo, cristiano, sacerdote…

Poi, penso spesso a voi tutti, alle vostre storie che non sempre conosco bene, ma che ho imparato in questi lunghi anni a cogliere proprio guardando, visitando e conoscendo i vostri preziosissimi figli, un grande dono per voi ma anche per me che da loro imparo tanto, ogni giorno, in quegli sguardi così limpidi che spesso si incrociano con i miei miopi e polverosi. In quei loro sorrisi così puliti; in quei bacetti anche un po’ comprati dalle caramelle che ormai sanno non mancano mai nel mio magico cassetto. E lì – ma non sempre riesco a percepirlo – il loro sguardo mi apre all’infinito, all’essenzialità, alla libertà, alla dolcezza, alla comunicazione, mi dona le coordinate per la mia stessa esistenza, spesso limitata alle misure dell’altezza e della circonferenza, senza pensare che c’è una profondità che talvolta dimentico e che mi farebbe così diverso, così altro. Mi renderebbe un uomo vero, una persona cioè capace di amare, così come fanno loro… Oh!, quanto hanno da insegnarci questi bambini! E noi, invece, ci illudiamo di essere i loro educatori, gli insegnanti, quando invece troppo spesso siamo così contraddittori, così poco coerenti (parlo per me!).

Chiediamo loro di essere onesti e non dire bugie, poi invece al botteghino del cinema li invitiamo a dire che sono più piccoli, così da pagare meno. Oppure che bisogna salutare le persone quando si entra e quando si esce, poi non salutiamo quello scorbutico del primo piano perché ci è antipatico. Poi, dopo che si è bisticciato con il fratello gli chiediamo di far pace, subito, e di stringergli la mano e dargli un bacio, e invece noi quando ci urtiamo con la moglie o col marito mettiamo giù un muso che dura un’eternità.

O ancora raccontiamo a tavola come siamo arrabbiati, perché quel tale ha copiato o rubato la nostra idea che ci era costata tanto sforzo e impegno e che forse ci avrebbe portato anche un bel guadagno e poi gli suggeriamo di comprare il gioco e il video contraffatti.

Oppure, adolescente, gli chiediamo sempre di comunicarci dove va e quando torna, e poi quando scendiamo di casa al massimo lanciamo un fugace “Ciao a tutti!”.

I nostri cuccioli, invece, le cose belle ce le sanno ben mostrare, anche se non sempre siamo pronti a coglierle come un grande dono, perché siamo distratti, presi da altro, sempre in affanno…

Ma dietro questo meraviglioso dono, devo confrontarmi anche con storie spezzate, matrimoni falliti, depressioni e ansie che invischiamo genitori e figli; bambini alla deriva; sofferenze che alimentano sofferenze; piccoli cuccioli che non diventeranno mai uomini e donne veri, imbrigliati in quelle ferite, quelle ansie, quelle fobie che – come pesanti fardelli – avremo posto sui loro capi.

Mi viene in mente la storia di Maria. E’ una bambina bellissima, dolcissima. Vivace come una classica bambina del sud. Quando entra nel salone del catechismo mi corre incontro e mi stringe le braccia al collo ed io – inutile dirlo – mi sciolgo come ghiaccio al sole.

Maria è una bambina che vive la sua vita senza il padre. Se n’è andato, lasciando due donne sole. Vive in mezzo a donne: la madre e la nonna. Avverti forte questo suo desiderio di avere una figura maschile al suo fianco. Ieri, però, è stato un incontro magico. Per la prima volta Maria ha trovato il salone invaso dai libri… Ha cominciato a sfogliarli, a meravigliarsi… Poi è tornata nella sala del mio ifficio, ne ha preso uno ed è corsa verso di me esclamando: «Padre Claudio, me la leggi questa storia?»

E così, ho dovuto rallentare il mio ritmo. Ho dovuto fermarmi. Percepire che c’era altro in quel momento: un bisogno grande quanto è grande l’amore! E allora che fai dinanzi alla richiesta di un bambino? Gli rispondi: “Non  ho tempo!” o gli dici “Ti dono il mio tempo!”?

Ed è stato così che, con un nodo alla gola, le ho narrato la triste avventura del Soldatino di piombo e mentre leggevo pensavo a lei, alla sua vita, alla sua solitudine incolmabile, a cosa penserà mai degli uomini e forse, mi son detto, quella storia avrebbe almeno potuto farle credere che c’è anche qualche uomo sulla terra che donerebbe tutto per la sua amata, che non fuggirebbe neanche dinanzi al fuoco della disperazione, proprio come il protagonista della fiaba di Andersen.

Mi ha detto grazie! e poi è corsa a farmi un disegno: una bellissima ballerina circondata da fiori e sopra scritto cubitale “Padre Claudio ti voglio bene!”.

L’ho appeso nel mio ufficio, perché mi ricordi che i bisogni dei bambini vengono prima dei miei. Questo, potrei dire, è stato il primo regalo di questo Natale!

Non è tanto il disegno e la bella frase, ma il pensiero di percepire quanto, chiunque di noi adulto, possa incidere con un semplice “sì!” nella storia e la vita di un bambino.

Un altro regalo mi è arrivato da una mamma e un papà. Hanno già un figlio di quattro anni. Si presentano allo studio per alcune banalità, ma dietro celavano il grosso desiderio di raccontarmi che… erano in attesa di un altro bambino! Oh, sì, queste cose capitano spesso, ma loro volevano dirmi altro! Erano molto felici. Mi hanno ricordato quanto erano fortemente restii ad accarezzare il pensiero di avere un altro bambino e quanto invece avessi inciso io in questa loro scelta. Loro l’hanno messa lì tra le righe; poi ci abbiamo anche un po’ scherzato, ma quando l’allusione è stata esplicita ho esclamato: «Quindi il colpevole sono io?!»

E anche questo è stato un gran bel regalo! Sentirsi partecipi addirittura di scelte così importanti, percependo in certi momenti anche l’amore e la riconoscenza dei genitori, fatta di piccoli gesti o di parole dette e non dette che innaffiano il cuore.

Allora, Natale potrebbe rappresentare il momento giusto per aprire le orecchie, per fermarci e ascoltare i nostri bambini, per farci raccontare le loro fantasie, magari le loro storie inventate… e aprire il cuore.

Per fare Natale occorre fermarsi; occorre gustare i momenti lenti dei piccoli; occorre incrociare i loro occhi; buttarsi per terra senza il pensiero di sporcare i vestiti; scalzi come a loro piace, ma scalzi soprattutto di quei pesi che ci mettiamo addosso e non contano nulla. Occorre abbandonare quel teatro-vivente su cui ogni giorno saliamo per debuttare le nostre soap opere.

Per fare Natale occorre riempire il nostro cuore e non gli armadi o le case, le mense.

Impariamo da loro: torniamo ad essere bambini!

Natale, allora, non sia un gesto, ma la nascita di cuori nuovi capaci di amare senza interesse, proprio come ci insegnano loro, i nostri bambini.

Buon Natale!

Padre Claudio Marino

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