Giovanni Nuti, un tuffo nello swing

a“Vivere senza malinconia”, l’ultimo album del cantautore, è un viaggio nella tradizione musicale italiana degli anni ’30 e ’40. E un omaggio alla poetessa Alda Merini.
Spesso è nelle epoche di crisi e di smarrimento politico e sociale che la musica – e l’arte in generale – trova la forza di rinnovarsi. Fu così per l’Italia degli anni ’30 e ’40: il nostro Paese attraversava il periodo buio del fascismo, la tragedia della guerra, la miseria; eppure, proprio in quell’epoca, i musicisti italiani espressero il loro desiderio di rinascita rivoluzionando la tradizione musicale nazionale, attraverso la reinterpretazione dello swing nato in America. Nacquero così Bellezze in bicicletta, Mille lire al mese, La strada nel bosco e tanti altri motivi che, con la loro armonia hanno continuato a vivere e a far cantare gli italiani fino a oggi.
A recuperare e rileggere questo grande ma poco frequentato patrimonio musicale dello swing italiano é il cantante e compositore Giovanni Nuti con il suo ultimo lavoro discografico Vivere senza malinconia:  un viaggio attraverso diciannove brani – fra questi due sono stati scritti con la poetessa Alda Merini, con la quale il cantautore ha collaborato a lungo – interpretati in chiave jazz con una formazione di otto musicisti. «In quegli anni nacquero in America le prime big band, nelle quali per la prima volta bianchi e neri si unirono nel nome della musica», spiega il cantautore, che presenterà il disco in un concerto al Teatro San Babila di Milano il 20 dicembre. «In questo album ho voluto proporre alcuni brani molto famosi e popolari, che chiunque avrà sentito canticchiare dai propri nonni, ma anche alcune canzoni poco conosciute dal grande pubblico ma ugualmente molto speciali».
Nuti, Vivere senza malinconia è prima di tutto un viaggio musicale nella nostra storia. Come nasce questo progetto?
s«È un recupero storico di brani scritti da italiani – la maggior parte da Giovanni Danzi – che hanno fatto il giro del mondo. Brani così belli e così speciali che è giusto che circolino e vengano fatti conoscere. Rileggendoli in chiave jazz penso di avere dato loro una nuova freschezza, una nuova vita. Questo lavoro discografico nasce perché, nel corso dei sedici anni in cui abbiamo collaborato, Alda Merini era solita cantarmi al telefono, con la sua voce rauca e inconfondibile, tante canzoni, fra le quali molte di quelle che ho inserito nel disco. A differenza di me, Alda cantava i brani ricordandosi ogni parola a memoria. Così, nell’album non potevano mancare due brani scritti con lei, Amore irripetibile e Il violinista piange, arrangiati in chiave jazz».
In tutto ciò che lei farà, anche nel futuro, pensa che ci sarà sempre l’impronta della poetessa?
«Anche se non c’è più fisicamente, Alda è sempre accanto a me spiritualmente. Mi segue in ongi cosa che faccio. Ha esercitato e continua a esercitare su di me una grande influenza, con lei c’è un legame che va oltre la presenza fisica. Alda ha cambiato la vita alle persone che l’hanno incontrata solo una volta, suscitando in loro grandi emozioni. Immagini come l’abbia stravolta a me in sedici anni».   Lei interpreta questi brani in modo molto personale, ma con un grande rispetto per la tradizione e l’atmosfera originale.
«Certo, ho voluto riproporli in una maniera molto aderente a quella dell’epoca. Li ho letti in chiave jazz, ma gli arrangiamenti non sono stati cambiati molto. Volevo mantenere vivo il sapore tipico di quegli anni. Questi brani avevano già una loro armonia speciale, non c’era bisogno di cambiarli, c’era solo bisogno di cantarli con il cuore. L’album è stato registrato in un’unica sessione live per non perdere la spontaneità, l’autenticità, l’emozione dello swing. Questo disco è basato sulla leggerezza: in quell’epoca queste canzoni venivano considerate un rifugio, un mezzo di evasione, esprimevano una gioia che non veniva invece vissuta nella realtà. Anche oggi, nel tempo di crisi in cui viviamo, la leggerezza è importante. E penso che queste canzoni possano trasmetterla».

Interessante anche la scelta di inserire nel libretto una serie di immagini storiche, in bianco e nero, come il famoso bacio tra il marinaio e l’infermiera a Times square, New York, immortalato da Alfred Eisenstaedt…
«Quella foto in particolare l’ho scelta perché Alda Merini la teneva come gigantografia nella sua camera. Per anni io l’ho sempre vista lì. Fu scattata alla fine della Seconda guerra mondiale e fa parte del nostro immaginario indelebile come rappresentazione della liberazione, della gioia di impossessarsi di nuovo della propria libertà».

Quali sono le canzoni che Alda Merini le cantava più spesso?
«Ma L’amore no, Ba… Ba… Baciami piccina, Ma le gambe… E poi Ho un sassolino nella scarpa, il singolo di questo disco, che ritengo molto giusto per i nostri tempi: oggi noi italiani abbiamo dei macigni nelle scarpe…».

Elvira Fusco