DIGNITA’

Un uomo in giacca e cravatta si avvicina,
serra tra i pugni una valigetta nera, e la stringe come se contenesse tutto l’oro del mondo.
povera buona 2Si ferma a pochi passi da me.
A debita distanza.
Che teme? Che gli possa trasmettere la povertà?
Magari potessi!
La donerei volentieri a certi ricconi della terra, così per una volta proverebbero la disperazione e l’affanno quotidiano.
‘’Se l’è cercata’’… potreste pensare.
E invece no.
Sono povera dalla nascita.
Delusi?
Lo so, speravate in qualche mia responsabilità, anche piccola, così da assolvere le coscienze personali e sociali.
Mi spiace, sono povera e senza colpa. Fatevene una ragione.
Bè, l’importante è che a Natale siano tutti felici e soprattutto in compagnia.
Sì, perché trascorrere il Natale da soli è quanto di più triste vi sia.
Non importa se si è in ospedale o per strada, la differenza la fa la solitudine.
L’unico bel ricordo che ho del Natale è quello trascorso con mia madre, il 25 dicembre di due anni ; decidemmo di andare alla mensa dei poveri e lei mi  teneva per mano sotto
i fiocchi di neve.
La mensa natalizia aveva in serbo tante cose buone.
E noi avevamo fame.
Fame vera.
Che bel giorno quello, eravamo in tanti, e tutti seduti attorno a un lungo tavolo.
Nessuno conosceva l’altro, ma ciascuno si sentiva a casa.
Per la prima volta ho assaggiato la coca cola e le patatine.
Ho gioito per ore.
E’ stato uno dei miei giorni più felici.
Ricordo pure di quando una donna di mezza età mi regalò la sua calza della befana.
Quante delizie! Ne mangiai per settimane!
Insomma, ogni tanto passano anime buone, sembrano angeli, e quando se ne vanno lasciano il segno.
Se non fosse per quei pochi non avrei un briciolo di fiducia nel cuore degli uomini.
Mi ritrovo seduta su una panchina di una stazione italiana, sono entrata per stare al caldo, tra poco cala il buio e la temperatura si abbasserà.
L’uomo in giacca e cravatta si avvicina prudente; ma continua a guardarmi senza proferire parole.
Poi finalmente si decide:
– Vuole che le compri da mangiare?
Vorrei mandarlo al diavolo, vorrei dirgli che non dovrebbe chiedermelo, dovrebbe portarmi un panino e basta. Vorrei dirgli di regalarmi un sorriso o magari di venirmi a trovare una volta a settimana, per farmi sentire amata.
Lui non sa che se venisse spesso a trovarmi non gli chiederei nulla, e sarebbe bello condividere la mia miseria per pochi minuti.
Mi sentirei tenuta per mano, come faceva mia madre. Morì lo scorso anno, sfinita e disperata.
Lo so, chiedo troppo.
Abbandono i sogni e torno alla realtà:
– No grazie, non voglio nulla signore.
– Dammi del tu ragazza. Mi chiamo Andrea, e sono di passaggio. Tu come ti chiami?
– Mi chiamo povertà.
– Caspita, non hai soldi ma sei insolente.
– Dovrei forse accettare la sua carità signore?
– Forse dovresti. O forse è più forte il tuo orgoglio che la tua fame?
Medito un attimo sulle sue parole, e poi con il volto rigato di lacrime rispondo:
– Chiedo scusa, ho fame e se mi portasse un panino le sarei grato.
L’uomo se ne va.
E io mi sento in colpa per aver perso la mia piccola opportunità.
Tutto per il mio stupido orgoglio.
Mi alzo per andare in bagno, mi rinfresco e poi mi addormento nel fragore delle rotaie e il vociare dei viaggiatori.
Poi nel cuore della notte mi sveglio, è la vigilia di Natale, la stazione è più calma e io mi sento al sicuro.
Accanto a me c’è un bigliettino, recita  così:
– Ciao povertà. Presto morirò e non ho nessuno a cui lasciare i miei beni. Ho predisposto ogni cosa affinché tu possa godere di tutti i miei averi e possa vivere la vita che meriti.
Ti lascio ogni cosa, affinché tu non debba mai vendere la tua dignità.

A cura di Claudia Graziani