Amarcord Marechiaro: Il “Pausylipon” e le murene di un sapore prelibato


“… Impara a rispettare la vita umana, vale più di tutti i tuoi e i miei vasi! ” (Cesare Augusto)

PausilyponIl termine “Pausylipon” deriva dal greco che significa “cessazione degli affanni” ed era il nome della sontuosa villa romana che sorgeva su Capo Posillipo – tra Marechiaro e Gaiola – appartenuta a Publio Vedio Pollione, uno dei principali sostenitori di Ottaviano Augusto e protagonista della vita politica di Roma nel periodo della sua transizione verso l’impero. Un singolare episodio avvenuto proprio all’interno del Pausilypon, giunto ai nostri giorni grazie al filosofo Seneca, merita di essere ricordato: si narra che nella villa di Posillipo, il magnificentissimo patrizio Vedio Pollione allevasse murene di un sapore prelibato, bianche da far invidia alla più raffinata carne di volatili, le quali costituivano il ghiotto piatto per le cene, che offriva ai potentissimi amici. Uno di questi era nientedimeno che l’imperatore Cesare Augusto, persona di un equilibrio e di una sensibilità eccezionali. La cena prese il via in un’atmosfera d’eccitante euforia: scorrevano fiumi di Falerno, gli schiavi in frenetico andirivieni sfoggiavano artistica professionalità nel servire i piatti più rari e gustosi, le specialità di carni e di pesci nelle salse più sofisticate. Ad un tratto fu come un fulmine fosse stato scagliato nel sereno cielo stellato da un drammatico Giove. Augusto era in piedi ed in piedi erano tutti, mentre uno schiavo etiope tremava insieme alla pallida luce delle lucerne come se gli fosse addosso piombato l’inverno della Sarmazia. Aveva fatto cadere a terra un calice di prezioso cristallo. Mandandolo in frantumi. Senza pietà, senza tentennamenti Pollione aveva ordinato che fosse buttato nella piscina, perché le feroci murene lo divorassero. Il servo si gettò carponi a terra e ai piedi dell’imperatore perché gli desse un’altra morte e non lo si usasse come cibo dei pesci. L’imperatore fu scosso da tanta crudeltà: ordinò di liberare lo schiavo e di gettare subito, alla sua presenza, tutte le coppe di cristallo nella pescheria finchè ne fu piena.

A cura di Rosario Scavetta