Alzheimer, la causa sarebbe la morte cellulare di neuroni produttori di dopamina

Di Natascia Caccavale

Una ricerca recente, pubblicata sulla rivista Nature Communication, svolta da un gruppo di ricercatori italiani, ha evidenziato che l’elemento chiave all’origine del morbo di Alzheimer, non sarebbe da ricercare nell’Ippocampo (struttura del sistema nervoso preposta alla memoria), ma la causa sarebbe da attribuire, alla morte della parte del cervello che produce dopamina. Quest’ultima è un neurotrasmettitore importante per alcuni meccanismi di comunicazione tra neuroni, che permette il loro funzionamento. La scoperta è stata fatta dal gruppo di ricerca della fondazione IRCCS Santa Lucia, del Cnr di Roma e dell’università  Campus Bio-Medico, contribuisce così ad aggiungere un importante tassello nella conoscenza della malattia. Il professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia all’università Campus Bio-Medico, Marcello D’Amelio, coordinatore dello studio, ha spiegato, che è stata compiuta un’accurata analisi morfologica del cervello, dove si è visto, che dove vengono a  mancare i neuroni nell’area tegmentale ventrale, responsabili della produzione di dopamina, e quindi, il mancato apporto ai neurotrasmettitori, si provoca il malfunzionamento dell’ippocampo, anche se le cellule di quest’ultimo restano intatte. Negli ultimi 20anni le ricerche degli esperti si erano focalizzate sulla degenerazione dell’ippocampo, considerata la causa della malattia, anche senza la rilevazione di dati riguardanti la morte cellulare.  I numeri parlano di 600.000 persone malate di Alzheimer (dati Censis) oltre i sessanta anni. Nessun ricercatore fino a oggi, aveva pensato al possibile coinvolgimento di altre aree del cervello come causa dell’insorgenza della malattia. D’Amelio spiega: l’area tegmentale ventrale, non era mai stata approfondita perché si tratta di una parte profonda del sistema nervoso centrale, particolarmente difficile da indagare a livello neuro-radiologico. I ricercatori sono riusciti a chiarire quali siano i dettagli molecolari della mancata comunicazione tra le cellule nervose che, nel tempo, provoca perdita di memoria. E si sono resi conto come la morte delle cellule cerebrali che producono dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, generando una specie di tilt che provoca la perdita di memoria. Come un effetto domino. Già nelle prime fasi di malattia lo studio ha evidenziato la morte progressiva dei soli neuroni dell’area tegmentale ventrale, e non quelli dell’ippocampo. Risultato coerente con la descrizione clinica della malattia fatta dai neurologi. Le conferme arrivano dagli esperimenti condotti su animali. Sono state somministrate due terapie: una con L.-DOPA, un amminoacido precursore della dopamina; l’altra con un farmaco, che ne favorisce la degradazione. In tutti e due i casi si è registrato il recupero completo della memoria, in tempi relativamente rapidi. E’ stato rilevato un ripristino della vitalità e della facoltà motivazionale. Inoltre, si è visto che l’area tegmentale ventrale, rilascia dopamina anche nel nucleo accumbens- continua D’Amelio- che è l’area che controlla gratificazione e disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per i ricercatori, la depressione e il calo del tono dell’umore, non devono essere considerati come conseguenza della malattia ma campanelli d’allarne dell’esordio della stessa. Servono a questo punto, tecniche neuro-radiologiche più efficaci –prosegue D’Amelio- che ci permettano di studiare meglio il meccanismo di questa morte dei neuroni in questa specifica ara del cervello. I dati sperimentali hanno quindi chiarito perché alcuni farmaci inibitori sono utili per alcuni pazienti mentre dove sono sopravvissuti un buon numero di neuroni mentre, risultano inefficaci per atri, dove, appunto non vi è più produzione di dopamina. La cura è ancora lontana, ma almeno sembra chiara la strada della ricerca da perseguire.