Serata di chiusura dell’arena di San Sebastiano al Vesuvio

ImmagineArenaSanSebastianoUna giacca color nocciola, una disponibilità immediata, uno sguardo a cui nulla sfugge: riflessivo, particolare, ma ugualmente dinamico e concreto. Così appare Marcello Sannino, il regista di “Corde”, documentario italiano prodotto nel 2009 da Antonella di Nocera, “Parallelo 41”. Cinquantacinque minuti di speranza, come la scena iniziale e finale, del protagonista, Ciro Pariso, che corre. L’inquadratura della “Napoli bene”, sullo sfondo il mare, e due gambe che non si arrestano. Quelle di un ragazzo la cui dolcezza struggente contrasta con il pregiudizio, e l’aspettativa, di chi la boxe non la conosce. Una vita che invita a sognare. Nonostante gli stenti, i sacrifici, un futuro che roseo non appare, ma reso tale da Ciro. Non c’è la vana illusione, nella sua testa di giovane ragazzo, ma la concretezza del suo stato: «Devo andare a lavorare». Non lascerà, nonostante ciò, la boxe. C’è la tenerezza di chi ritrova nell’amore per la sua ragazza, e il figlio che nasce improvvisamente, e di cui la nonna materna non sa ancora nulla, la gioia di due occhi che tutto esprimono. Ciro non è un ragazzo qualunque. Lui lo sa? Marcello Sannino l’ha creduto, quando, nell’immaginare il suo film, si è diretto in palestra. Lì ha incontrato Ciro. L’ha visto, ne è stato catturato dal carattere schivo, ma non chiuso, e – dopo ben tre anni di lavoro – è nato “Corde”. Alle spalle una vita comune, un’esperienza professionale da piccolo imprenditore: amante dei libri, al centro della sua attività economica, Marcello è sempre stato attratto da una serie di film. Affascinato dalla magia del cinema reale, l’ha coltivata dentro di sé, fino a regalare al pubblico “Ombra&Luce” (Nutrimedia) e decidere di dedicarsi soltanto alla regia e arti affini. L’idea di “Corde” nasce dal pensiero che la palestra possa essere il luogo di storie forti quanto le contraddizioni che, invece, il regista ha vissuto. «Sul ring, vi sono delle scene quotidiane, in quanto i soggetti coinvolti sono attori sulla – e non solo – nella vita». È per tale motivo che è nato un rapporto profondo, con l’ex Campione d’Italia. È naturale fermare la scena, per il regista: lo fa ogni qualvolta l’azione è conclusa, l’immagine è compiuta, ma quanto altro c’è dietro quello che si vede! Questo il pubblico presente a San Sebastiano il 6 Settembre 2010, alla chiusura dell’Arena promossa ogni anno dall’Arci Movie, lo ha avvertito, nel dialogo avutosi dopo la proiezione del film. Per Marcello, abituato al successo ma umile, sorpreso per i premi vinti ma allo stesso tempo molto sicuro del proprio “prodotto”, è stato stupefacente constatare, nonostante il freddo della serata e il fatto di essere in una zona periferica, rispetto a Napoli, la presenza di così tante persone, seppure inferiori rispetto ad altre proiezioni. Un luogo ricco di bisogni, esigenze, quello vesuviano, a dimostrazione di quanta sete di cultura vi sia laddove magari pochi ne conoscano le attrattività, oltre allo Sterminator Vesevo. Come ogni regista, anche Marcello Sannino ha trascorso dei momenti di difficoltà produttiva, finché l’incontro con Antonella Di Nocera e “Parallelo 41” gli ha dato questa opportunità.  Consiglia, lui che si è fatto le ossa da solo, ai giovani, di cercare di trovare sempre dentro di sé la forza per esser registi. A tale carattere della personalità, si contrappone il ponderato ascolto di Giovanni Cioni: su una disadorna ed isolata panchina, alla Stazione Centrale di Napoli, in attesa del suo treno, così esordisce :«Quanto conta lo spettatore? Mi interessa più quello che gli altri hanno da dire, perché dallo scambio di due soggetti o opinioni nasce un terzo elemento, che è un’altra cosa». Per lui, il film esiste ogni volta che lo si mostra, è la costruzione di un percorso dove non si danno sentenze o giudizi; di per contro, «se mostri certi dettagli o personaggi, non significa che li valorizzi»; accenna  a Sergio, pregiudicato di “In purgatorio”, documentario di 72 minuti nato nel 2009 da una collaborazione tra l’italiana “Teatri Uniti”, la francese “Zeugma Films” e la belga “Qwazi qWazi Films”. Il regista, che ha una lunga esperienza in Belgio, dove risiedeva, è al suo primo vero lavoro in Italia, tra vari altri progetti. Non crede che produrre in Italia sia diverso che altrove. Si riporta indietro nel tempo, donando le sue emozioni legate ad antichi ricordi, come in tali parole: «La naturalezza con cui un personaggio di “Nous/autres” racconta della mamma, ammazzata dai Tedeschi, e l’operatrice televisiva piange durante le riprese, o la visione dei titoli in cinese di “In Purgatorio”». C’è tanto silenzio, nei film di Giovanni Cioni. Lui è sapiente, nel cogliere i suoni naturali. Con lui, nasce una filosofia dell’educazione all’ascolto delle immagini, le stesse per le quali, durante la proiezione di ambo i film, si sono risvegliate le coscienze non sopite di un pubblico che, con Marcello Sannino e Giovanni Cioni, vuole non nascondere una realtà che – dimenticata o non narrata abbastanza – esiste ancora.

A cura di Lidia Ianuario