Riflessione su una scuola interculturale

Nella società contemporanea le dinamiche connesse ai continui flussi di immigrazione hanno come conseguenza immediata che il contatto interculturale sia entrato a far parte dell’esperienza quotidiana, e pone nuovi interrogativi ELVIRA 2sul modo in cui la diversità si ridefinisce con la sua concreta presenza nel nostro territorio. Ne scaturisce il bisogno per nuove strategie didattiche.

Bisogna che si impone nella riflessione pedagogica anche alla luce di tutta una normativa (da quella sull’immigrazione a quella specificamente scolastica) che considera il bambino straniero (“straniero” in quanto figlio di migranti, di unioni miste, o arrivato in Italia grazie alle numerose pratiche di adozione internazionale) in quanto bambino, e come tale soggetto di diritti e tutele a parità dei bambini italiani.

Quella delle grandi differenze di provenienza culturale che si trovano nelle classi scolastiche – problematica inedita per il nostro paese, ma che ha una lunga storia in altri (in particolare negli Stati Uniti) – incide fortemente sulle possibilità didattiche e sulla formazione dei docenti. Vi è, infatti, una nuova attenzione al cosiddetto “curricolo nascosto” composto da ciò che tutte le persone coinvolte a vario titolo nel lavoro scolastico, docenti e studenti in primo luogo, ma anche genitori, dirigenti, amministratori, portano come loro contributo in termini di convinzioni, atteggiamenti, aspettative, motivazioni.

È evidente che, ormai, anche in Italia (soprattutto in alcune regioni come la Campania) l’incremento percentuale nel numero degli alunni dell’istituzione scolastica sia dovuto, essenzialmente, all’aumento dell’utenza straniera, ma è altrettanto vero che si registra una variazione percentuale molto significativa nel numero di alunni che richiedono una attenzione e un supporto aggiuntivo (da non confondere con il sostegno da assegnare a bambini diversamente abili).

Per favorire l’inserimento di un giovane straniero in classe e nella comunità è stata introdotta la figura del mediatore culturale, il quale agisce anche per aiutare gli stessi insegnanti  la famiglia a superare difficoltà pratiche di inserimento scolastico del bambino, oltre che per agevolare la comunità nella comprensione di nuove abitudini e comportamenti.

Tale passaggio è forse il momento più delicato per contenere le difficoltà dei bambini, appartenenti ad una cultura o ad una etnia differenti dalla nostra,  ed evitare che tali normali difficoltà possano degenerare in un vero e proprio disturbo dell’apprendimento. Ci si riferisce soprattutto alle naturali difficoltà legate ad una lingua e ad una cultura diverse, per questo oggi è necessario costruire l’apprendimento degli allievi sia come singoli che come gruppo.

ELVIRA 1Un esempio lampante è dato dalla ricerca antropologica di Susan Philips, la quale ha denominato “struttura di partecipazione” quella struttura implicita che senza bisogno di dichiarazioni formali regola le interazioni quotidiane in classe. Nella sua analisi si evidenzia che nelle classi in cui erano presenti anche i bambini di cultura indiana-americana, dietro l’apparente rifiuto di questi ultimi di partecipare al discorso, vi erano i valori della “cultura invisibile” degli indiani d’America che preferiscono tacere di fronte agli altri studenti.

Si tratta di una norma di comunicazione che era sconosciuta agli insegnanti e che dipendeva dall’espressione di valori del tutto diversi da quelli della cultura dominante. È uno dei nuovi rischi con cui confrontarsi, soprattutto nel caso di alunni inseriti in classi italiane e che provengono da culture dell’Estremo Oriente , dove stare in silenzio e mostrare rispetto per adulti e anziani è un valore importante.

Di certo l’integrazione che non accultura né include, ma valorizza la diversità come forma di risorsa, ha indicazioni precise da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Ma tra l’ attenzione teorica e normativa a ciò che di nuovo portano gli alunni stranieri: e l’educazione interculturale che non si limiti a tollerare una compresenza di etnie, vi è uno spazio progettuale tutto da ridefinire, in cui investire energie e strategie per la formazione di conoscenze e atteggiamenti responsabili.

Anita Laudando