L’ARBITRO, STORIA DI UN ESSERE UMANO

DAGLI ESORDIENTI ALL’ECCELLENZA: CHE SIGNIFICA ESSERE ARBITRI IN CAMPANIA La prima cosa che chiedono ad un arbitro di calcio è: <<Come ti è venuto?>>; la seconda fatidica domanda , effettuata il più delle volte con un FOTO SPORT 4sorriso beffardo, è: <<T’hanno mai picchiato?>>. E quando stai per rispondere alla prima domanda si tende subito a tagliare corto, con l’ansia di sapere se le hai mai prese. Spiegare i motivi per cui si inizia tale carriera è un po’ difficile; c’è chi lo fa perché vuole solo la tessera che consente di assistere alle partite della propria squadra del cuore gratis (ma questi arbitri durano poco), chi lo fa perché spinto da altri parenti o amici che hanno indossato la casacca nera, chi lo fa perché non ha “sfondato” come calciatore e chi lo fa perché incuriosito da questo mondo misterioso ai più. Si pensa che basti seguire un corso e superare le prove tecniche ed atletiche per divenire arbitro; in realtà puoi fregiarti di tale titolo solo se duri almeno un anno sui campetti di periferia. La vita del fischietto alle prime armi è molto dura; quando si scende in campo con la divisa spesso il pubblico non si rende conto dell’età anagrafica di quell’arbitro debuttante; non ci si rende conto che potrebbe essere loro figlio: lui è solo il “cornuto” e il “coglione” FOTO SPORT 2della situazione, quando va bene; quando va male, invece, ecco che fioccano aggressioni, invasioni di campo o insulti al limite della decenza. Non riescono a comprenderei sacrifici di quel giovane arbitro, delle tante ore di allenamento settimanali, delle domeniche mattine sacrificate, dei tanti chilometri percorsi per raggiungere quel remoto campo di provincia; e forse non si riesce a capire che mentre si sta insultando quel “cretino”, molto probabilmente i genitori del fischietto stanno in tribuna a sostenere loro figlio, solo contro tutti. Il primo anno di arbitraggio attua una sorta di selezione naturale: se sei forte psicologicamente ti permette di andare avanti e di forgiarti sempre di più. Dal secondo anno in poi inizi a crescere come uomo, a fortificarti, a prendere responsabilità importanti in poco tempo; i riflessi delle tante partite arbitrate iniziano a riscontrarsi negli atteggiamenti quotidiani, nel modo di approcciarsi alla vita, nelle relazioni sociali; è in quel momento che inizia ad accrescersi l’amore per tale disciplina; allorquando non si darà più peso all’insulto domenicale si inizia a maturare da un punto di vista arbitrale e “mentale”. In fondo FOTO SPORT 3l’arbitraggio è una palestra di vita; il ruolo del fischietto viene spesso sottovalutato: in pochi comprendono la difficoltà che si riscontra nel dover prendere una decisione importante nel giro di pochi secondi, sotto l’occhio di un pubblico rumoroso e il pressing di due società calcistiche che magari si giocano un campionato ove girano pur sempre dei soldi; il tutto sapendo che vi sono degli osservatori arbitrali che sugli spalti valutano l’operato del fischietto con estrema serietà, pronti tanto a premiarlo quanto a porre fine, de facto, la sua carriera. E i compensi? Sono bassi, escluse le due massime serie; quando si riescono a pagare la benzina, i caselli autostradali e un pranzo al ristorante  è forse anche troppo. L’arbitraggio è una sorta di vocazione; tutti iniziano per motivi diversi, come accennato sopra, ma poi subentra la passione, una sensazione che non si può spiegare se non si ha mai avuto in bocca il fischietto o in mano la bandierina. Mi fanno ridere quelle persone che ogni domenica Ci danno del “venduti” o del “corrotti”; non capiscono che senza di Noi la partita non potrebbe iniziare; non capiscono che, in quanto umani, tutti possono eventualmente sbagliare; non capiscono che giriamo la nazione, la regione o la provincia alla ricerca di paesi noti o totalmente sconosciuti, in qualsiasi ora di qualsiasi giorno settimanale, in qualsiasi condizione atmosferica, rischiando di prenderle, o come minimo di essere insultati, non per una manciata di euro ma per PASSIONE. E poi, permettetemi, vorrei vedere Loro in mezzo al campo…

Di Daniele Pepe