Izet Sarajlić, Sarajevo e la Poesia: versi sotto un cielo bombardato.

Nato nel marzo del 1930, morto nel 2002, maestro di fedeltà civile e grande testimone di una delle pagine più drammatiche della storia europea, Izet Sarajlić ha amato e vissuto fino in fondo la sua terra, Sarajevo e la sua gente, eliasenza mai rinnegare le proprie origini, neppure quando ha conosciuto la guerra e la devastazione. Di recente Einaudi ha pubblicato una sua piccola, preziosa, raccolta: Chi ha fatto il turno di notte, a cura di Silvio Ferrari, con prefazione di Erri De Luca.  Izet, o “Kiko” come molti lo chiamavano, è una delle maggiori voci poetiche del secondo Novecento. Poeta, filosofo e storico bosniaco, ci ha donato versi di inesauribile bellezza e profondità. La sua poesia abbraccia tematiche civili, ma anche l’amore, la morte, l’arte, mettendo in versi emozioni, nostalgie e riflessioni. Izet ha sempre creduto e lottato per una cultura laica, per la pluralità e la convivenza. Ha fatto di Sarajevo il centro della sua poesia: in essa è racchiuso il senso della sua esistenza, un legame viscerale e sofferto, ma impossibile da recidere.  Quando Sarajevo ha subito il più lungo assedio del Novecento, Izet è rimasto in città, ha preferito condividere la malora del suo popolo, scrivendo con la sua stessa testimonianza la più bella poesia che mai potesse lasciare. Scelse di stare tra gli altri. Sposò la condivisione e la fraternità. Poteva scegliere la condizione di esiliato, avrebbe certo trovato ospitalità presso qualche amico o qualche università, preferì, invece, la sua amata Sarajevo e la sua gente. Voleva stare lì, condividere il peso della storia, mettersi in fila come gli altri per ricevere una manciata di farina o del pane. Non si sentiva un privilegiato, ma un uomo tra uomini. Prigioniero volontario di un accerchiamento che avrebbe potuto evitare,  scelse di condividere con senso di appartenenza  il destino di Sarajevo, restando sotto i bombardamenti e piantando versi di speranza nella solitudine di un Paese che crollava sotto i suoi occhi. In quelle serate, mentre Sarajevo era bombardata, al buio, priva di corrente elettrica, gli uomini vivevano di poesia: si radunavano nelle strade e i poeti recitavano il loro canto, sperimentando il disarmante potere della parola. I versi si facevo carico del dolore e delle sofferenze che si pativano sotto un cielo bombardato, e univano, tenevano tutti stretti in un unico caloroso abbraccio. La poesia abbracciava i loro destini e li elevava.  In quelle tragiche sere, Izet mostra il meraviglioso ruolo dei poeti che “facevano il turno di notte in Sarajevo per impedire l’arresto del cuore del mondo”. La poesia doveva infondere nella comunità speranza e fiducia, nonostante la barbarie della guerra.   La poesia di Izet è sempre colta e consapevole, ma immediata, diretta, semplice. Va dritta al cuore del lettore, muovendone le corde più recondite, suscitando emozione e partecipazione. La sua preziosità sta nella semplicità delle piccole cose, nell’amore di sempre per la moglie, nel senso di identità e appartenenza che lo rendono vivo e figlio della storia.  Leggerezza e profondità convivono nella stessa pagina. I suoi versi svelano un mondo visto con gli occhi della sua gente, della sua Sarajevo, i sentimenti, le paure e le lotte di persone che hanno dichiarato apertamente la loro estraneità alla guerra e hanno sperato in un mondo diverso, battendosi per i loro sogni e i loro ideali. Non si percepisce odio nei suoi versi, non c’è desiderio di vendetta, né astio nei confronti degli altri popoli. Le colpe non sono mai collettive, ma sempre di singoli uomini.  Izet Sarajlić sceglie e invita tutti noi a scegliere la poesia, ad affidarsi e aggrapparsi ad essa, sempre, perché da lì possono venire le risposte ai nostri interrogativi, al nostro bisogno di sentirci uomini, vivi e partecipi, testimoni e messaggeri di speranza. La poesia è salvezza. E Izet “scrive, non perché sia l’unico modo per respirare, scrive perché senza poesia non riesce a immaginarsi neppure nelle vite” delle persone a lui prossime. Scrive per cogliersi uomo, con le sue fragilità e i suoi valori, ma anche per dar voce al suo popolo, per regalare felicità agli amanti di diverse generazioni e, allo stesso tempo, per abbracciare l’infelicità di un popolo che ha tanto sofferto la violenza e la barbarie del lato peggiore dell’umanità.

Giuseppina Amalia Spampanato