Gianfranco Caliendo, un cantautore tra passato e futuro
Intervista di Antonello Cresti: Giugno 2021
Gianfranco Caliendo è un musicista dalla carriera, senza alcun dubbio, densa ed eclettica; una carriera che ha attraversato cinquant’anni di storia della musica italiana e napoletana.
Caliendo è un artista dotato di una voce intensa e fortemente espressiva, un’incredibile musicalità e la capacità, non certo comune, di attraversare generi e stili diversi, pur mantenendo la sua inconfondibile matrice melodica ed interpretativa. Dal 1974 al 2012, è stato iconico frontman, voce solista, chitarrista e autore della famosa band Il Giardino dei Semplici. Con i suoi compagni di viaggio, ha calcato i palchi dell’intera Italia, ha venduto 4 milioni di copie, ed è stato protagonista di una stagione bellissima come quella della musica pop romantica. Molte sono le canzoni del complesso che hanno scalato le classifiche italiane, in alcuni casi giungendo al disco d’oro: M’innamorai (Festivalbar 1975); Tu, ca nun chiagne (#3 in hit parade); Vai (Festivalbar 1976); Miele (Sanremo 1977); Concerto in La Minore (Festivalbar 1978; scritta da Gianfranco e Gianni Averardi); …E amiamoci (1982; interamente scritta da Gianfranco). Silvie, tratta dall’album B/N, e la cui musica era composta da Gianfranco, diventa un grande successo nei paesi scandinavi e in Finlandia.
Non solo autore, ma anche produttore, e in entrambe le vesti è riapprodato al Festival di Sanremo 1997. In quell’occasione, curava e accompagnava il cantautore Vito Marletta, che si esibì nella splendida Innamorarsi è. Fondatore dell’Accademia Caliendo, dal 1998 fucina di giovani talenti a Napoli e in Campania, Gianfranco ha poi firmato il successo sanremese e internazionale Turuturu, interpretato da sua figlia Giada Caliendo e Francesco Boccia nel 2001.
Separatosi dalla band, nel 2012 Gianfranco diventa un artista solista, e intraprende un intelligente e affascinante discorso di rivisitazione dei suoi successi e dei classici napoletani, oltre alla produzione di brani inediti sempre caratteristici, pregni di profondità e brillantezza. Ricordiamo alcune “perle” del suo filone contemporaneo: Memorie di un pazzo; Non si fa; Cia’ guagliò; Vafancù e Anime (quest’ultima, in coppia con il cantante dei Cugini di Campagna, Nick Luciani).
Nel 2021, saranno lanciati sul mercato la sua autobiografia, Memorie di un Capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70 (IacobelliEditore) e il terzo album del suo nuovo corso artistico, stavolta in compagnia della Miele Band. La formazione, oltre a Gianfranco: Peppe Mazzillo (tastiere); Dami Tedesco (seconda chitarra); Piero Pisano (basso) e Vito Capone (batteria).
E’ mia opinione personale che tu fossi il cuore musicale de Il Giardino dei Semplici, non solo un’icona riconoscibile del gruppo. Come mai ti sei separato dalla band, dopo 38 anni di militanza?
Gianfranco: Ti ringrazio intanto per la stima che hai nei miei confronti. La nosta separazione, avvenuta nel febbraio 2012, è difficile da spiegare. Ufficialmente, abbiamo dichiarato che c’erano delle divergenze di scelte artistiche e che io avevo qualche problema di salute… ma, in effetti, credo che abbia giocato un ruolo protagonista un unico fattore: l’invidia. Ti accorgi, un giorno, che il “tutti per uno, uno per tutti” è solo illusorio… e che prende il sopravvento il “tre contro uno”. Allora non puoi fare altro che abbandonare, dolorosamente, il progetto che avevi creato.
Descrivici Gianfranco Caliendo come artista solista, il tuo percorso dal 2012 ad oggi.
Gianfranco: Gianfranco Caliendo, dal 2012, ha dovuto rimboccarsi le maniche e ricominciare tutto da (quasi) zero. Fortunatamente con un bagaglio vantaggioso, e cioè quello di poter finalmente fare la musica che ti piace fare e di poter fruire di una “immediatezza” di decisioni, senza dover passare per il giudizio della “commissione” formata dagli altri tre componenti della band. Un altro vantaggio, è stato quello di aver trovato sulla mia strada una persona con cui ho potuto condividere il percorso artistico e sentimentale: Flora Contento. Lei è un eccellente autrice di testi, per dirlo alla vecchia maniera, una vera e propria “paroliera” di grosso calibro, oltre ad essere un’interprete di canzoni raffinata e profonda.
La tua carriera è lunghissima. Hai avuto spesso problemi con le case discografiche? Specialmente le major? Spiegaci perché.
Gianfranco: Beh, i problemi ci sono stati… e non pochi. Nella mia carriera, dal 1974 ad oggi, ho vissuto svariate delusioni e ho dovuto saltare molti ostacoli. Lo descrivo nel mio libro che hai citato, un’autobiografia in cui è sovrana la sincerità. Bisogna considerare che, noi del Giardino, abbiamo cominciato a camminare nel mondo della discografia giovanissimi e inesperti. L’unico che aveva un po’ di esperienza tra noi era Gianni Averardi, il primo batterista, fondatore con me del gruppo, ma anche lui impreparato all’evenienza di “gestire” un successo così improvviso e di così vaste proporzioni. Gli artisti delle nuove generazioni si sono fatti più furbi, e si fanno gestire subito da avvocati e commercialisti esperti del settore.
Hai partecipato a tre Festival. Cosa pensi di Sanremo? Le tue esperienze come sono state?
Gianfranco: Il mio primo festival di Sanremo è stato quello più “incosciente”. Era il 1977, ed io l’ho vissuto in “compagnia” di una vistosa impalcatura di gesso che sorreggeva il mio òmero fratturato e vittima di un delicato intervento. Poco meno di un mese prima, viaggiando di ritorno da un concerto tenuto ad Isernia, la nostra macchina, guidata da Andrea, uscì fuori strada; io ebbi la peggio e dovetti subire le conseguenze di quell’impatto per circa un anno, tra interventi chirurgici e riabilitazioni varie. Menomale che la canzone Miele diventò un assoluto “evergreen” e mi ripagò dei sacrifici. Il secondo festival, fu da autore e produttore di un artista che ha purtroppo avuto un triste destino e che resta sempre nel mio cuore. Vito Marletta era un cavallo di razza, un artista sensibile e intenso che partecipò a Sanremo Giovani nel 1996 con la canzone I poeti non cambiano e, nel febbraio del 1997, al Festival di Sanremo con il brano Innamorarsi è. Ebbe un grande successo e riscontro personale, nonostante gareggiasse con altri “giovani” di altissimo livello come Niccolò Fabi, Alex Baroni, Paola & Chiara. Purtroppo gli editori e i discografici non lo supportarono.
Invece, il festival del 2001, fu quello delle grandi emozioni. Infatti, sul palco dell’Ariston c’era mia figlia Giada che, a soli 15 anni, mostrò il suo assoluto talento vocale con la canzone Turuturu, interpretata in coppia con Francesco Boccia, anche mio coautore del brano. Stavolta il successo fu immediato e internazionale. L’anno successivo ha venduto, in altre tre diverse versioni (portoghese, catalano e castigliano) oltre 1.200.000 copie. In particolare, la versione interpretata da Sandy & Junior si piazzò per sei mesi al primo posto della Top Ten del Brasile. Ancora oggi è molto cantata e conosciuta in tutto il mondo latino.
Parlaci della tua personale tecnica vocale. Tu sei anche un affermatissimo vocal coach.
Gianfranco: All’inizio degli anni ‘90, fui affetto da un’infiammazione alle corde vocali che, per il mio mestiere, diventò una dannazione. Intanto, ero fumatore, e poi mi resi conto che cantavo in modo scorretto. All’epoca, non esistevano scuole di canto moderno e, quindi, non potevo aver avuto né suggerimenti, né aiuti esperti sull’uso della mia voce. Così decisi di documentarmi, e studiai sui libri di logopedia e su alcune pubblicazioni uscite in America. Poi, avevo avuto la fortuna di “crescere” artisticamente con affianco dei grandi maestri, Totò Savio e Giancarlo Bigazzi. In particolare Totò, che cantava da tanti anni, mi dava tutti i consigli e mi svelava tutti i “trucchetti” per la mia vocalità. Così, nel 1994, cominciai anche ad insegnare, stimolato da Marianna De Martino, che dirigeva la gloriosa “La Ribalta”; scuola di recitazione, danza e musica, tuttora molto attiva. Quattro anni più tardi, aprii anche la mia prima sede a Napoli. Oggi dirigo la “mia” Accademia Caliendo, con le sedi di Napoli, Gragnano e (a breve ripristinata) Cava de’ Tirreni. Penso di aver fondato la prima scuola di canto moderno sul territorio campano, raggiunta da talenti provenienti da tutte le provincie e persino da altre regioni. Nel 2005, ho pubblicato un libro di tecnica vocale moderna (Voci di dentro – edito da Giancarlo Zedde) a cui fanno riferimento molte scuole di canto dello stivale. La mia personale tecnica è quella che mi fa chiudere gli occhi ed esprimere ciò che sento dentro, con passione e “carnalità” necessaria per trasferire le emozioni interne. Come diceva un grande cantante della tradizione partenopea: “Diece lire ‘e voce e ciento lire ‘e core…”.
Come vedevi la situazione della musica italiana prima della pandemia? E adesso? Cosa pensi che debba cambiare?
Gianfranco: Parlare della situazione musicale dell’ultimo periodo, anche pre-pandemico, mi mette piuttosto a disagio e, forse, mi renderò “antipatico” a qualche fruitore dei generi musicali che imperversano nel panorama discografico odierno.
Io ritengo che la musica che ascoltiamo oggi sia gravemente condizionata e “pilotata” da gente che non ha alcuna competenza. La parte predominante di questo disastro è dovuta al diffondersi dei “talent”, che favoriscono il successo di progetti che hanno scarsissimo spessore artistico e che escono fuori grazie ad una “martellante” promozione di personaggi e storie personali, di ragazzini e ragazzine carine dalle acconciature di capelli originali o dal vestiario eccentrico.
Se oggi nascessero i nuovi Battiato, Daniele, Dalla, De André, etc… credo che non troverebbero né spazio televisivo, né pubblico ad ascoltarli. La musica italiana è messa male. Io te lo dico con cognizione di causa, perché vivo tra i giovani e raccolgo le loro preferenze e le loro attitudini. Comunque, anche i miei allievi, pur attaccandosi ai vari “Amici”, “X Factor” e company… quando cantano canzoni “datate” come me, si rendono conto che la musica sta scomparendo. Sta scomparendo la melodia, sta scomparendo l’intelligenza e il linguaggio emozionale, stanno scomparendo i brividi sulla pelle che vivevamo nell’ascoltare una grande canzone. Non ho nulla contro il rap, il trap e l’hip-hop, anzi lo insegno pure, ma se ad un Festival di Sanremo vedi che rappresenta l’80% della produzione, capisci che è preoccupante davvero. In fondo, quelli che hanno vinto l’ultimo festival facevano musica “antica”, rock alla vecchia maniera, anche se, a mio parere, imitandolo maldestramente. Eppure hanno fatto bella figura e hanno vinto addirittura il contest europeo. Per cambiare qualcosa, c’è bisogno che politicamente si ricominci a favorire l’ascesa della cultura e del buon gusto. Come sempre… sono i politici a “spostare” le grandi masse.
Grazie di questa intervista, Gianfranco. Per concludere, parlaci del tuo libro, Memorie di un Capellone…
Gianfranco: Durante i periodi di lockdown obbligati… io, essendo poco abituato a stare chiuso in casa, mi sono imposto di rendere utile questa pausa “forzata” (tra l’altro, sono stato in quarantena anche per aver contratto il virus, fortunatamente in modo blando). Così ho scritto un nuovo musical (visto il successo del precedente Fatti Santo, portato in scena nel settembre del 2020), dal titolo Tarantella, per il quale dopo l’estate partiranno i casting per individuare i protagonisti. Dunque ho scritto, in compagnia di Flora, delle canzoni, tra cui Io resto a casa, pubblicata sulle piattaforme digitali. Le altre canzoni scritte, le ritroverete presto nel primo disco della Miele Band, il gruppo che ho fondato nel 2016 e che, adesso, verrà valorizzato in tutto il suo spessore artistico.
Infine, ho potuto avere il tempo per un mio vecchio progetto, e cioè quello di scrivere un’autobiografia sincera, di quelle in cui si racconta tutta la verità e in cui si racconta un’epoca di una vitalità straordinaria, gli anni settanta. Infatti il titolo, Memorie di un Capellone, l’ho scelto per sottolineare, al di là dei miei capelli, la consuetudine e l’immagine di chi affrontava quegli anni con l’animo di chi avrebbe voluto cambiare il mondo. E’ un libro “avvincente”, che racconta soprattutto le luci e le ombre di un “complesso” di successo di quel magico decennio.
La prefazione è del mio grande amico Giorgio Verdelli e l’editore è IacobelliEditore, sotto la cura di Francesco Coniglio e di mio figlio Tiziano che lo ha revisionato, corretto e verificato con grande cura minuziosa. Grazie a te Antonello, e complimenti ad Optimagazine.
di Antonello Cresti