Gabriella Di Luzio: La morte ha bussato alla mia porta. Io mi sono barricata e non ho aperto

la-morte-grandeUn’enorme scollatura, con una cicatrice, segno visibile di un calcinoma vinto, ma anche, e soprattutto, della gioia di essere donna, nonostante tutto. Così appare Gabriella Di Luzio alla presentazione del suo coraggioso libro, “La morte ha bussato alla mia porta. Io mi sono barricata e non ho aperto”, edito da Graus, alla Terrazza Aragonese di Napoli, il giorno 23 giugno. Una chiacchierata tra amici, più che un formale ed ufficiale incontro tra intellettuali. Lo denota la presenza in sala, oltre a vari giornalisti, quale Peppe Giorgio, dello storico quotidiano “Roma”, al poeta Giovanni Moschella, al critico d’arte Maurizio Vitiello e al regista Nando Romeo, delle sue colleghe di teatro e delle sue ex amiche di liceo. A descrivere la delicatezza della scrittrice, il noto giornalista de “Il Mattino”, Pietro Gargano, e lo scrittore Aldo Mauro. Un romanzo meticoloso, puntuale, scorrevole, dove Gabriella mette tutta sé stessa. La sua incondizionata voglia di dire a tutti di avercela fatta, unita alla paura, si evince dal definire il suo cancro “la bestia”: un evento che non può non segnare l’esistenza di una persona, eppure la scrittrice racconta ogni minimo particolare. Grazie a questo viaggio dentro sé stessa, lei capirà i veri affetti, incontrando il fratello e la figlia – quest’ultima allontanatisi da lei per ben tre lunghi anni – mettendo da parte l’amore per il suo compagno, che la lascia sola in un momento così terribile, e riscoprendo il valore dell’amicizia e della solidarietà, come testimoniato da due figure importanti: Maria Perrone Policicchio e Justin, ragazzo preso in affido. Questo libro è quindi permeato dalla voglia di istruire, di far capire che una malattia del genere può coinvolgere chiunque: attraverso una cena, a cui la scrittrice è invitata e ad una cui discussione assiste per caso, ella incontrerà – successivamente – il Dottor Tirelli, che la accompagnerà in questo lungo viaggio. Tramite la descrizione degli esami fatti, la Luzio invita il lettore a tener presente vari fattori di vitale importanza: la scelta del medico giusto, la consapevolezza di una comunità che salvifica, l’umanità degli operatori sanitari, l’importanza di continuare ad essere quella di sempre. Ciò che risalta è la continua ricerca della sua femminilità: la scoperta di una parrucca che le faccia dimenticare l’effetto della chemioterapia, i vestiti sfarzosi per dimenticare il dolore che porterà sempre nell’anima, il dovere di essere con un sorriso sulle labbra, per la professione che svolge. Questo è un lato fondamentale di tutta la sua vicenda umana, perché rappresenta l’amore per sé stessa, la consapevolezza che – probabilmente – se avesse avuto una vita più pacata, serena, non si sarebbe ammalata.

Tutto il racconto è permeato di una nostalgia che non deriva dal decorrere della malattia, ma dalla vita stessa. E’ per questo che si consiglia la lettura di questo libro: c’è la speranza di una donna provata, ma dall’aspetto solare, i cui occhi lucidi – senza parlare – hanno ancora le lacrime, donate dalla stessa, invisibili, perché contenute, insieme alla sua emozione, nel suo linguaggio. Mediante l’abbattimento di ogni frontiera, dove nemmeno il dolore riesce a impedirle di continuare, gioiosamente, a vivere, Gabriella Di Luzio invita tutti i suoi lettori a celebrare con lei il suo inno alla vita.

A cura di Lidia Ianuario