Daniele Pace

Lorenzo_Pilat,_Daniele_Pace_e_Gene_Pitney;_da_ABC_n°_45_del_6_novembre_1966Venticinque anni fa, il 24 ottobre, è morto Daniele Pace. Un nome che a molti potrebbe non suggerire molto, in sé, ma che se collegato ad altri nomi potrà invece dire qualcosa. Daniele Pace è stato uno dei maggiori parolieri italiani degli anni ’60.

Nato il 25 aprile del ’35, le canzoni da lui scritte sono oggi considerate come pietre miliari della storia della musica italiana. Tra i vari testi da lui scritti, si possono ricordare “La pioggia”, poi interpretata da Gigliola Cinquetti, “…e la luna bussò” e “in alto mare” cantate da Loredana Bertè, e “nessuno mi può giudicare”, scritta appositamente per la cantante all’epoca di gran voga Caterina Caselli; negli anni ’80 vinse il Grammy Music Awards aver superato il milione di esecuzioni radiofoniche con la canzone Love Me Tonight, reinterpretata da Tom Jones.

Autore di importanti pezzi della storia della musica italiana, Daniele Pace aveva anche un altro lato, un lato votato all’ironia, al non prendersi sul serio, al far critica, facendo sorridere, sugli avvenimenti e sui perbenismi dell’epoca; Daniele Pace è stato infatti anche uno dei fondatori del gruppo demenziale Squallor (nome che forse a qualche lettore dirà qualcosa in più), poi diventato di culto per un intera generazione, e ricordato ancora oggi per la sua influenza nel mondo della musica, e della stessa adolescenza. Gli Squallor infatti non erano solo un pretesto per poter cantare parolacce, erano un progetto nato per far riflettere sulla società, strappando sempre un sorriso, dichiarando le verità in modo diretto e spesso estremamente forte, ma proprio per questo ben compreso da tutti. I loro dischi sono oramai pezzi da collezione, valutati a caro prezzo per i collezionisti (proprio come a caro prezzo è valutato l’unico disco solista di Daniele Pace, considerato una vera “chicca” del collezionismo dagli esperti di vinili, “Vitamina C ”).

Con Daniele Pace e gli Squallor, con la loro nascita nell’ormai lontano 1971, fu infranta una nuova frontiera, nei costumi, nella società: dire le cose in modo diretto, spesso anche volgare, senza bisogno di dover cadere nel perbenismo obbligatorio, era un modo per mostrare la propria libertà, libertà di cui tutti giovani si erano voluti appropriare solo pochi anni prima, con la rivoluzione del ’68, con Woodstock, con i movimenti studenteschi. Gli Squallor, erano una convalida di quella libertà. Perchè, rubando le parole al cantautore napoletano Federico Salvatore, “Il pretesto della volgarità è forse il primo segno della libertà”.

A cura di Simone de Michele