AUTOESAME DEL SENO E PATOLOGIA BENIGNA DELLA MAMMELLA

ImmagineAncora oggi, dopo una visita senologica, una mammografia od un’ecografia mammaria, viene frequentemente suggerita l’esecuzione periodica dell’autopalpazione del seno. Molte donne, tuttavia, provano disagio a farla, non sentendosene all’altezza o per il timore di scoprire qualche anomalia. È veramente utile, nell’epoca attuale, l’autoesame del seno? Quante probabilità ci sono d’imbattersi in una lesione veramente pericolosa? Agli inizi degli anni settanta le prospettive di cura delle pazienti con tumore mammario erano sconfortanti. Da una parte, infatti, i trattamenti di cui si disponeva erano gli stessi da oltre settanta anni e nessuna nuova tecnica chirurgica, farmaco o progresso era stato fatto negli ultimi decenni. Tutte le donne erano curate nello stesso modo, con l’asportazione totale della mammella di frequente seguita da radioterapia, indipendentemente dall’età, le dimensioni del nodulo e lo stadio della malattia. D’altro canto era elevata la porzione di pazienti con grossi noduli e linfonodi sotto l’ascella, con una malattia, insomma, piuttosto avanzata. Paura di scoprire d’essere ammalata, terrore per la mastectomia, malinteso senso del pudore, scarsa attenzione al proprio corpo e disinformazione, spingevano molte donne che si accorgevano d’avere un nodulo a sottovalutarne l’importanza e nasconderlo a se stesse, ai propri familiari e al medico, finché la situazione non si faceva insostenibile. Nel frattempo, però, la malattia progrediva e, parallelamente, diminuivano le possibilità di guarigione. Fu allora che molte associazioni, per lo più costituite da pazienti operate, cominciarono una intensa opera d’informazione per coinvolgere le donne e renderle parte attiva nel processo di diagnosi, diffondendo la tecnica dell’autoesame del seno. Oggi le donne sono molto attente al loro corpo, consapevoli dell’importanza di una diagnosi tempestiva e interessate alla prevenzione. Nel frattempo nuovi procedimenti chirurgici hanno reso possibile interventi curativi non deturpanti, che rispettano l’estetica e l’integrità psico-fisica, mentre nuovi farmaci e sistemi radiologici ci consentono di guarire un numero sempre maggiore di persone. Il panorama è, però, profondamente mutato soprattutto grazie alle campagne d’informazione e educazione sanitaria e a quelle di diagnosi radiologica di massa, gli screening, che hanno drasticamente aumentato la percentuale delle pazienti che si rivolgono al chirurgo con una malattia in una fase molto precoce e, perciò, con ottime possibilità di guarire.Nell’attuale scenario è ancora giustificato consigliare l’autopalpazione del seno? Gli studi clinici eseguiti a questo proposito, hanno dato un risposta chiara: l’autopalpazione non modifica le percentuali di guarigione nelle donne che la eseguono e si scoprono un nodulo. Il presupposto, infatti, della prevenzione consiste nello scoprire il tumore quando questo non ha raggiunto dimensioni tali da renderlo avvertibile con la mano. Il nodulo che può essere “sentito” dalla donna o dal suo medico, ha perciò raggiunto dimensioni tali che non può, tranne eccezioni, essere definito “precoce”. La prevenzione, o come più correttamente dovrebbe essere chiamata, “l’anticipo diagnostico”, si basa piuttosto sulla mammografia che può svelare noduli tanto piccoli da sfuggire all’esame manuale. Ben si comprende, quindi, che lo sforzo dei medici deve essere concentrato nel sottoporre il maggior numero di donne oltre i quaranta anni ad una mammografia periodica, dopodichè, l’esame manuale, specie quello eseguito dalla donna stessa, diventa superfluo. Bisogna, poi, considerare che in molte donne l’autoesame è fonte d’ansia ed è possibile che si allarmino, senza motivo, nel palpare alterazioni che, in realtà, sono normali cambiamenti della ghiandola mammaria durante il periodo fertile o lesioni non pericolose. In definitiva, perciò, pur riconoscendo all’autopalpazione i meriti sopra ricordati, si può tranquillamente affermare che tale esame non è necessario, se la donna si sottopone regolarmente alla mammografia o, se sotto i quaranta anni, a visite specialistiche ed ecografie secondo il calendario che il proprio medico le consiglia. Ben inteso, se la donna riesce ad eseguire l’autoesame in modo corretto, con serenità, senza paure od ansia, e raggiunge una buona conoscenza di “come” è fatto il suo seno, questo test non è assolutamente dannoso e può aiutare a sentirsi più tranquille.

Come eseguire correttamente l’esame?
La prima cosa da fare è scegliere il momento più favorevole per fare il test. La mammella, nel periodo fertile della vita, mostra, infatti, modificazioni mensili legate al ciclo mestruale. Il seno è costituito da una parte ghiandolare, quella che produce il latte, e da tessuto fibroso e grasso che sostiene la ghiandola. Il tutto è rivestito dalla pelle con l’areola ed il capezzolo. Ogni mese, sotto l’influenza degli ormoni, la ghiandola mammaria si prepara ad una possibile gravidanza ed al successivo allattamento e, per questo, diventa più voluminosa, compatta, turgida, consistente per aumento del numero delle cellule e del contenuto in acqua, mentre i vasi sanguigni s’ingrossano per portare una maggiore quantità di sangue. Queste modificazioni, che intralciano la palpazione della mammella, raggiungono il loro massimo subito prima delle mestruazioni. In questa fase è bene non eseguire l’autopalpazione. Se la gravidanza non accade, dopo la mestruazione, la ghiandola, lentamente, riprende il suo aspetto regolare: diminuisce il gonfiore, diventa più soffice, si riduce il contenuto in acqua e l’apporto di sangue; finché tra
ildecimo ed il quattordicesimo giorno dall’inizio delle ultime mestruazioni, la mammella comincia nuovamente a predisporsi per una possibile gravidanza. È questo, perciò, il momento migliore per eseguire l’autoesame, ma anche la visita medica e l’ecografia. C’è, tuttavia, una certa variabilità individuale e per questo ogni donna dovrebbe capire con l’esperienza, qual è, per lei, il momento più favorevole per l’autoesame. Per le donne in menopausa questa regola non vale, poiché, con il venir meno del periodo mestruale, la mammella non è più soggetta a cicliche modificazioni. Dopo la menopausa, inoltre, la ghiandola mammaria, non più stimolata dagli ormoni, va gradualmente incontro ad un’involuzione. In altre parole si restringe sino a scomparire quasi del tutto ed il suo posto è preso da tessuto grasso, il che rende molto più agevole la palpazione, perché il grasso è soffice ed omogeneo. Anche in questo caso, in ogni modo, c’è un’ampia variabilità. Ci sono donne anziane che hanno ancora abbondanti residui ghiandolari ed altre, molto più giovani, che presentano una completa sostituzione della parte ghiandolare con tessuto grasso. Nelle donne che seguono la terapia ormonale per contrastare i disturbi della menopausa, la palpazione deve essere eseguita preferibilmente intorno al quattordicesimo giorno. È bene chiarire che chi segue la terapia sostitutiva deve eseguire annualmente la mammografia.

Come eseguire l’autopalpazione?
Il miglior modo è posizionarsi in piedi davanti ad uno specchio ed osservare, innanzi tutto, l’aspetto del proprio seno, prima abbandonando le braccia lungo il corpo, dopo sollevandole contemporaneamente in alto. Così si possono evidenziare, differenze nella forma tra i due seni, mutamenti dell’aspetto ed, in particolare, retrazioni, cioè affossamenti, del capezzolo o depressioni della pelle in un qualsiasi punto della mammella. L’affossamento del capezzolo è una condizione molto frequente che spesso interessa ambedue le mammelle e, se presente da molto tempo, non è pericolosa. Se, invece, la retrazione compare improvvisamente deve essere segnalata al medico perché potrebbe essere il segno di un nodulo posto immediatamente dietro il capezzolo. Allo stesso modo una retrazione della cute, prima non presente, potrebbe essere correlata con un nodulo sottostate e deve spingere la donna a chiedere il parere del sanitario. A questo punto inizia la palpazione. Dapprima sdraiate, dopo in piedi o sedute. Il braccio, del lato della mammella che si vuole esplorare, deve essere spostato in alto, preferibilmente appoggiando il palmo della mano sulla nuca e spingendo il gomito un po’ all’indietro. Con l’altra mano s’inizia a palpare la mammella, tendendo le dita unite e appoggiandole delicatamente, dapprima, sull’areola, poi su tutta la mammella, in modo ordinato, per non tralasciare alcuna parte, meglio esplorando il seno in modo circolare, iniziando dalle zone più interne, per passare poi a quelle esterne. La mano deve esercitare una dolce pressione sulla mammella ed eseguire dei piccolissimi movimenti circolari per cercare di separare gli elementi della ghiandola sottostante. Particolare attenzione deve essere posta all’esplorazione della porzione superiore esterna del seno, che è la zona in cui è, di norma, presente la maggiore quantità di tessuto ghiandolare.

Come interpretare quel che si palpa?

Le donne che decidono di eseguire l’autopalpazione devono tener ben presenti tre cose:

  1. L’autopalpazione non può sostituire, in alcun modo, la visita medica, né tanto meno mammografia ed ecografia, ma può essere, se gradita alla donna, un’integrazione a questi esami che devono essere, in ogni modo, eseguiti secondo il calendario consigliato dal medico.
  2. Quel che si richiede alla donna non è fare una diagnosi, cosa che può essere difficile anche per lo specialista, ma solo di “accorgersi di un cambiamento” da segnalare al medico.
  3. Le “alterazioni” che la donna può percepire palpandosi sono, nella stragrande maggioranza dei casi, legate alla normale struttura del seno o a “lesioni” totalmente benigne. I noduli maligni sono, infatti, una percentuale molto bassa rispetto a quelli privi d’importanza clinica. È sbagliato, perciò, spaventarsi per aver palpato qualcosa di “anomalo” poiché le probabilità che si tratti di una lesione pericolosa sono molto basse.

Quali sono i reperti che più frequentemente si incontrano?
In termini assoluti, le scoperte più frequenti sono, come già detto, lesioni benigne: fibroadenomi e cisti. I fibroadenomi sono tumoretti benigni che si manifestano, di norma, nelle donne giovanissime, sotto i vent’anni e se non rimossi, chiaramente, durano per tutta la vita. Sono simili a piccole patate, possono essere numerosi, interessare ambedue le mammelle e raggiungere dimensioni notevoli. Toccandoli, si avverte la presenza di un nodulo duro, ma non durissimo, liscio e che sembra sfuggire sotto la mano che lo esamina. I fibroadenomi sono facilmente individuabili con l’ecografia che deve essere eseguita per conferma e per individuare la eventuale presenza di altri più piccoli e, perciò, non palpabili. Di regola non è necessario asportarli, a meno che non siano molto grandi e provochino uno stato di disagio nella donna che ne è affetta. Le cisti sono, invece, dei palloncini pieni di liquido che si manifestano, più frequentemente dopo i 30-35 anni. Anche le cisti possono essere numerose, interessare ambedue le mammelle e raggiungere dimensioni notevoli. Con la palpazione si avverte un nodulo duro, talora un po’ doloroso, con superficie liscia e abbastanza mobile. Non c’è bisogno di asportarle, sono facilmente individuabili con l’ecografia che deve essere eseguita per conferma e in qualche caso il medico può consigliare di vuotarle del loro contenuto, cosa che può essere facilmente fatta con una normale siringa da iniezioni, in ambulatorio e in pochi secondi.
La donna, spesso, avverte delle zone d’indurimento della mammella, più o meno estese, senza che sia possibile palpare un nodulo vero e proprio. Questi indurimenti, che i medici chiamano addensamenti, si manifestano prima delle mestruazioni e scompaiono, o si attenuano, quattro-cinque giorni dopo l’inizio del flusso. Ma non c’è una regola costante. Nelle donne tra i 35 ed i 50 anni, gli addensamenti possono persistere a lungo e sono, generalmente, in relazione alla mastopatia fibrocistica. Interpretare correttamente la natura di un addensamento può essere cosa difficile anche per lo specialisti e la sua scoperta impone, perciò, l’esecuzione di esami strumentali come mammografia ed ecografia.

A cura di Enzo Torino