Whiplash

Secondo lavoro da regista di Damien Chazell, “Whiplash” si inserisce nel filone di film musicali americani, andando, però, ben oltre i limiti del genere e veicolando punti di vista inusuali. Potente e di grande impatto emotivo, il film è cinema 1stato candidato agli Oscar 2015 come miglior film, miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio, miglior sonoro e J.K.Simmons come miglior attore non protagonista. L’Academy ha premiato Simmons per la magistrale interpretazione -nel film interpreta il ruolo del severo e inflessibile insegnante Terrence Fletcher- , un premio che suona come un riconoscimento alla sua intera carriera. Inoltre la pellicola si è aggiudicata la statuetta per il miglior montaggio e il miglior sonoro.

Andrew Neiman (Miles Teller) studia la batteria al conservatorio di Manhattan, lo Shaffer, sognando di diventare uno dei migliori. Si esercita con accanimento, sacrificando ogni cosa. Eppure i suoi sforzi risultano vani di fronte alla severità di Terence Fletcher (J.K. Simmons), che dirige una delle migliori orchestre del conservatorio. Andrew cerca di attirare l’attenzione dell’insegnante lavorando incessantemente, fino a farsi sanguinare le mani, ma proprio quando sembra aver raggiunto il suo scopo, per Fletcher non è mai sufficiente e lo sottopone a prove inattese e feroci.

“Ero lì per spingere le persone oltre le loro aspettative:era quella la mia assoluta necessità.” Queste le parole di Terrence Fletcher. Questo il suo credo. La sua missione è quella di trovare un nuovo Charlie Parker ed è convinto che sia possibile soltanto attraverso una disciplina ferrea e il duro lavoro. La pressione che esercita sui suoi studenti è così talmente potente da rasentare la crudeltà, soprattutto in soggetti psicologicamentete deboli -le sue molestie probabilmente sono state la causa del suicidio di un suo ex studente. Dall’altro lato, Andrew Neiman, che sogna di diventare un grande batterista jazz e, pur di realizzare il suo obiettivo, trascorre ore interminabili ad esercitarsi.
E’ sul rapporto conflittuale tra i due che si basa la pellicola, una guerra a colpi di bacchette insanguinate e piatti madidi di sudore.
Nella prima scena la cinepresa inquadra da lontano il ragazzo, poi percorrendo uno stretto corridoio si avvicina sempre di più ad Andrew, intento a suonare la batteria in un crescendo frenetico. A questo punto si introduce bruscamente nell’inquadratura l’insegnante, inquadrato dal basso per incuterci ancor più tumore. Già da questa prima sequenza iniziale si è costruito l’asse portante del film.
I successivi tre quarti della pellicola scorrono frenetici, avviluppando lo spettatore in una spirale di tensione senza tregua: siamo lì a sperare che Andrew non molli, che il continuo esercizio lo porti al successo. E, al tempo stesso, le nostre speranze sono messe in crisi da un dubbio: quale è il limite? Quando la passione di un’artista diventa violenza verso se stesso? E quale la differenza tra incoraggiare un’artista e spezzare il suo animo? Andrew si consuma nella pratica e nell’ostinazione, guidato da una rabbia pericolosa che distrugge tutto ciò che possa deviare il suo cammino, una rabbia che lo logora e che può esternarsi soltanto nella sua musica, nel ritmo martellante della batteria. Ed è lo strumento a fare da padrone nell’ultima scena, soltanto la musica, nessun dialogo. Una batteria furente al centro del palco. Infine, i nervi possono distendersi e noi, spettatori, non possiamo fare altro che emozionarci.

A cura di Mariaconcetta Pentangelo