Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino

“La maggior parte degli studenti era comunque disinteressata. Non è che proprio tutti fossero così, ma questo era l’atteggiamento diffuso nella scuola professionale. Assolutamente freddi, nessuna illusione, e soprattutto nessun ideale. Questo mi buttava proprio giovani 1giù. La vita senza la droga me l’ero immaginata diversamente. Spesso riflettevo sul perché i giovani erano così miseri. Non riuscivano ad aver gioia di niente. Un motorino a sedici anni, una macchina a diciotto: questo era quasi ovvio. E se questo non c’era allora uno era un essere inferiore. Anche per me, nei miei sogni, era stato naturale pensare che un giorno avrei avuto un appartamento e una macchina. Ma ammazzarsi di lavoro per un appartamento, per un nuovo divano, come aveva fatto mia madre, questo non esisteva. Questi erano stati gli ideali sorpassati dei nostri genitori: vivere per poter tirare su dei soldi. Per me, e credo anche per molti altri, quel paio di cose materiali erano il presupposto minimo per vivere. Poi doveva esserci qualche altra cosa. Esattamente quello che dà un significato alla vita. E questo non si vedeva. Un paio a scuola mia, tra cui mi ci mettevo anch’io, erano ancora alla ricerca di quel qualcosa che dà un significato alla vita.”
Berlino, anni ’70. Un documento ancor più crudo e brutale perché racconta una storia reale. Non si può chiudere gli occhi di fronte alle parole e ai ricordi di una ragazzina di tredici anni a contatto con la realtà berlinese di quegli anni. Christiane non è un mostro. E’ una ragazzina dalla sensibilità particolare e piena di sogni. Una bambina con una gran voglia di essere accettata e l’incertezza tipica di quell’età così fragile, ancor più difficile se vissuta nei casermoni di Gropiusstadt in una famiglia piena di problemi. Il racconto autobiografico di Christiane Vera Felscherinow, nato da una serie di interviste che i giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck del settimanale Stern sostennero con Christiane nel corso del 1978, descrive con lucido realismo la caduta nella tossicodipendenza e ci permette di conoscere i tossici e il loro mondo più a fondo, al di là dei classici stereotipi. Di fronte al racconto di Christiane F. non c’è spazio per il perbenismo né per i pregiudizi.
In modo dettagliato veniamo trasportati nel clima berlinese degli anni ’70, in cui si diffuse capillarmente il problema della droga. Hashish, valium, LSD, efedrina, mandrax poi eroina: questi i passaggi obbligatori. Christiane viene introdotta al mondo della droga in un oratorio protestante, Haus der Mitte, poi nella discoteca berlinese Sound. E in questi posti trova degli amici, un fidanzato e sembra anche trovare una sua identità. Quel mondo la attrae, le permette di fuggire i duri problemi che ha in famiglia. I suoi occhi ingenui ed innocenti guardano con ammirazione i ragazzi più grandi che vanno al Sound da più tempo e sono già esperti. E, al tempo stesso, prova ribrezzo alla vista degli eroinomani sfatti e distrutti, pensando che a lei tutto ciò non capiterà mai. Senza una guida, in una società che elude il problema perché non sa come affrontarlo Christiane si lascia trascinare in un baratro in cui ogni cosa perde valore di fronte alla necessità quotidiana di bucarsi. Gli eroinomani sono capaci di rubare, mentire, prostituirsi, tradire gli stessi amici del gruppo per una dose in più. E questo ci fa storcere il naso, ma soprattutto ci dà tanta tristezza. La stazione berlinese Zoologischer Garten fa da sfondo al dramma di Christiane e a quello di tanti altri, ragazzi e ragazze, vissuti in quegli anni. Nella stazione Christiane passa le sue giornate lavorando, rimediando una dose e vivendo momenti di tenero affetto con Detlef, il suo ragazzo. Una tenerezza, quella tra Christiane e Detlef, che stride in modo forte con l’ambiente che li circonda. In effetti, nel mondo degli eroinomani è difficile mantenere dei rapporti umani senza che la morte e la disperazione facciano il loro ingresso: Babsi, amica di Christiane, muore alla tenera età di 14 anni e la stessa sorte stronca la giovane vita di Atze e di Axel. A fare da sordido contorno alla sventura di questi ragazzi ancora bambini una serie di personaggi adulti, spesso psichicamente disturbati, che si approfittano del loro bisogno quotidiano.
Il libro fece la sua comparsa in Germania nel 1978, pubblicato a puntate sul settimanale Stern, suscitando scalpore in tutto il mondo e rivolgendo l’attenzione pubblica sul problema della droga e della prostituzione nell’ambito del mondo giovanile. Nel 1981 ne fu tratto il film “Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” con la regia di Uli Edel.

A cura di Mariaconcetta Pentangelo