LA VERITA’ SULLE ALLERGIE E LE INTOLLERANZE ALIMENTARI

Circa l’8% dei bambini e il 2% della popolazione adulta soffre di “reazioni avverse a uno o più cibi”. Ma a cosa è dovuto l’aumento di questi casi? E se fosse tutto legato alle nostre emozioni? Ecco quali disturbi psicologici e relazionali si nascondono dietro ciascuna intolleranza

mario 11“Che l’alimento sia la tua medicina e la tua medicina sia il tuo alimento, ma gli alimenti possono diventare anche veleno”. Sono parole di Ippocrate che secoli fà introdusse il tema dei disturbi legati al cibo. Oggi le intolleranze alimentari sono sempre più diffuse: secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, circa l’8% dei bambini e il 2% della popolazione adulta soffre di “reazioni avverse ad uno o più cibi” che si manifestano con sintomi gastrointestinali: dolori addominali, crampi, diarrea, vomito. Un fenomeno in crescita in tutto il mondo tanto che molti supermercati si stanno attrezzando con un’offerta per diete specifiche, gluten free o senza lattosio e negli Stati Uniti alcuni ristoranti servono addirittura menù su misura per i clienti con intolleranze specifiche. A cosa è dovuto l’aumento di questi casi? Si fa strada una nuova ipotesi: se fosse tutto legato alle nostre emozioni?

Il cervello della pancia. Vari studi hanno dimostrato l’esistenza di una stretta connessione tra mente e corpo, in particolare tra mente e intestino. Anzi, gli studiosi ritengono che il sistema ga­stroenterico sia dotato di un cervello che produce sostanze psicoattive come oppiacei, antidolorifici, calmanti e ben il 95% della serotonina, ormone essenziale per la regolazione del sonno, dell’umore, della sessualità e anche dell’appetito. Ecco perché tra mente, intestino e alimentazione esiste un dialogo continuo. L’ipotesi che collega il rifiuto di un cibo da parte dell’organismo ad emozioni e disagi di natura psicologica trova il suo fondamento scientifico anche nella Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia. “Si tratta di una disciplina che mette in correlazione corpo e mente ed in base alla quale tutti i sintomi partono dalla psiche” spiega Francesco Bottaccioli, presidente onorario della Società Italiana di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia.

La somatizzazione a tavola. Del resto, la somatizzazione del disagio è un processo noto e riguarda anche l’alimentazione. Per esempio, i disturbi gastrici segnalano l’abitudine a inghiottire anche le cose che non vanno, come se lo stomaco fosse costretto a una lenta digestione della rabbia. Al contrario, disturbi intestinali, come la colite, contraddistinguono coloro che non riescono a trattenere l’aggressività. “Non c’è dubbio che uno stress emozionale protratto, la depressione, l’ansia e tutti gli squilibri emotivi possono alterare l’attività del sistema immunitario e renderlo più reattivo a sostanze che dovrebbero essere innocue” prosegue Bottaccioli. Ecco perché un alimento che fino a qualche mese fa non ci creava alcun problema, improvvisamente può creare disturbi di vario tipo. “La comunicazione tra il nostro cervello intestinale e quello della testa è continua e bi-direzionale”. Allo stesso modo, se alcune emozioni sono legate a livello simbolico a specifici alimenti, può svilupparsi un’intolleranza. “Io non sono una nutrizionista per cui i pazienti che arrivano da me hanno problemi di tipo relazionale o personale ma poi nel corso delle sedute emerge sempre qualche problema legato all’alimentazione” spiega Edi Salvadori, psicopedagogista e Counselor Relazionale dell’Associazione Voice Dialogue che ha avanzato questa ipotesi eziologica. Poi con la rimozione del blocco emotivo, in genere i sintomi scompaiono.

Glutine = Difficoltà relazionali e insicurezza. In genere, chi sviluppa questo tipo di intolleranza è una persona che si sente “trasparente”, magari perché non gli viene riconosciuto un ruolo importante all’interno della famiglia o non viene preso in considerazione nel gruppo di amici. “Ad un certo punto, il corpo sviluppa l’intolleranza al glutine come strategia per attirare l’attenzione su di sé” spiega la psicopedagogista.”In questo modo, cambia tutta l’alimentazione che diventa diversa rispetto a quella degli altri membri della famiglia. Potremmo vedere questa intolleranza come il grido di quelle parti bambine che hanno bisogno di essere viste, di essere al centro dell’attenzione”.

Latte= rapporto con la madre. L’intolleranza al lattosio è strettamente collegata al rapporto con la figura materna e può nascere sia quando si tratta di una madre ansiosa (per paura del distacco, perché ha vissuto un aborto, ha subito violenze)  o una assente (perché presa dai suoi problemi lavorativi, esistenziali, dai suoi disagi relazionali). “Le persone che si sentono un peso per la madre sviluppano insicurezza e spesso intolleranza verso l’alimento che li ha nutriti, perché si carica di stati emotivi che l’organismo non riesce più a digerire” spiega la terapeuta. I sintomi più frequenti sono disturbi digestivi, senso di gonfiore o peso. “L’intolleranza al latte, che compare in età adulta, può esprimere un conflitto irrisolto, che si muove tra il bisogno di fusione e quello di autonomia, oppure è l’effetto di una madre ambivalente o dal comportamento opprimente”.

Mela = Senso di colpa. Da sempre questo frutto è associato al peccato originale di Adamo ed Eva. L’intolleranza alla mela, che si manifesta con gonfiore a livello addominale o crampi, si sviluppa tipicamente nelle persone molto disponibili e che sopportano tutto fino a quando scoppiano. “Sono soggetti che reprimono le loro emozioni ma poi quando reagiscono, lo fanno in modo esagerato buttando fuori tutta la rabbia che hanno accumulato dentro salvo poi sentirsi in colpa quando si rendono conto della reazione avuta”racconta Salvadori.

Carne = Stile di vita frenetico. L’intolleranza alla carne non è molto diffusa, ma può verificarsi specie se si tratta di carne di maiale. Accade soprattutto nei soggetti molto indaffarati, che tendono a fare tante cose contemporaneamente e che non riescono a stare fermi. Un comportamento che li porta a prestare attenzione verso il fare e non il sentire. “Quando il corpo non regge più questo meccanismo, emerge un forte stato di stress e di stanchezza, anche come conseguenza di un sovraccarico energetico del fegato” avverte l’esperta. “Questa intolleranza può essere l’espressione di persone che non si concedono nemmeno il tempo per nutrirsi, proprio perché la carne necessita di tempi più lunghi per la masticazione e l’assimilazione”.

Pomodori = Gestione della rabbia. Le persone che hanno accumulato tanta rabbia tendono a privilegiare gli alimenti dal colore rosso, come i pomodori, e quelli piccanti, come il peperoncino: “Accade perché questi cibi fanno sentire un sapore forte che ben si associa allo stato emotivo della rabbia” spiega la terapeuta. “Perciò, se ogni volta che ci si arrabbia, si mangiano questi alimenti nel tempo si può sviluppare un’intolleranza: il corpo chiede di sfogare la rabbia in altro modo”.

Prezzemolo = Difficoltà a dire No. Questa intolleranza può insorgere in quelle persone particolarmente disponibili, gentili, responsabili, sempre pronte a mettere da parte il proprio sentire, al punto tale che non pongono dei confini per cui si lasciano invadere continuamente. “Questa intolleranza deve indurre la persona a riflettere che è arrivato il momento di scrollarsi di dosso delle responsabilità eccessive di cui si sta caricando, per eccesso di disponibilità, iniziando a dire dei No” spiega l’esperta.

Cioccolato = Problemi sessuali. Il cioccolato, simbolicamente, rappresenta uno dei piaceri della vita, ma quando questa è costellata di dovere non è facile lasciarsi andare nemmeno nell’intimità, così come potremmo non concederci di esternare il nostro bisogno di essere amati. “Si tende a compensare ciò che manca con questo alimento, fino al giorno in cui non sarà più sufficiente e il nostro corpo lo esprime con l’intolleranza”.

Caffè = Severità verso sé stessi. Anche il caffè è legato ad una sensazione di piacere: ce lo concediamo subito dopo pranzo o quando facciamo una pausa con colleghi e amici. Ma alcune persone sono talmente intransigenti con sé stesse che non riescono nemmeno a concedersi la breve pausa di un caffè. “L’intolleranza alla caffeina insorge in persone particolarmente rigide con sé stesse, con un grande senso del dovere e con una forte responsabilità” chiarisce Salvadori. Si tratta di persone che pensano che ciò che ottengono deve essere sempre il frutto di grandi sacrifici, e se ottengono qualcosa facilmente non se lo godono. “Per assurdo gli unici momenti che si concedono potrebbero essere proprio le pause caffè ma l’estrema rigidità della personalità genera l’intolleranza”.

Come se ne esce. Nel momento in cui emerge che l’intolleranza è il segnale di un disagio emotivo, la via d’uscita è abbastanza chiara: “Serve un percorso di crescita personale che faccia emergere la parte bambina e vada alla radice del sintomo dell’intolleranza per capire su quale problema relazionale ed emozionale intervenire” spiega la Salvadori. In genere, nell’arco di dieci sedute si riesce a rimuovere il blocco emotivo e il sintomo scompare. Un approccio particolarmente utile quando l’intolleranza riguarda alimenti difficili da eliminare completamente come le uova e il latte. “Quando il problema relazionale che l’aveva fatta insorgere torna alla ribalta, purtroppo si ripresentano anche i sintomi dell’intolleranza”. Ma, secondo gli esperti della Pnei, occorrono prove più concrete: “La correlazione tra l’intolleranza ad uno specifico cibo e ad un determinato problema psicologico andrebbe indagata più a fondo e dimostrata con studi clinici perché i fattori da indagare sono molteplici” avverte il professor Bottaccioli.