La Storia di un impiegato di De Andrè

dfsdfL’album che ha avuto molta influenza musicale nella musica italiana, anche perché ha assorbito elementi sociali e biografici dal momento storico in cui è stato pubblicato. Sociali, perché il disco (uscito nel 1973) rielabora le tematiche dei movimenti studenteschi sessantottini, della controcultura ma anche dell’epoca delle stragi (piazza Fontana risale al 1969). Biografici, perché costringe per la prima volta il De Andrè anarchico e fuori dalle correnti politiche a prendere posizione sui cambiamenti in atto. Tanto da portarlo ad esprimere una sorta di disagio postumo nei confronti di un parto evidentemente sofferto: “Quando è uscito Storia di un impiegato avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di avere usato un linguaggio troppo oscuro, difficile. L’idea del disco era affascinante: dare del Sessantotto una lettura poetica. Invece è venuto fuori un disco politico. E ho fatto l’unica cosa che non avrei mai dovuto fare: spiegare alla gente come comportarsi”..
Il protagonista della storia è un trentenne impiegato che conduce una vita tranquilla, perfettamente integrata nei meccanismi sociali da oscuro membro della burocrazia. Egli non è felice ma è sedato, non ha aspirazioni particolari se non quella della individualistica scalata nella gerarchia del potere. Improvvisamente ascoltando un canto delle rivolte studentesche francesi si risveglia, capisce vedendo la lotta di ragazzi poco più giovani di lui di quanto ci sia di sbagliato nella sua vita. Per la prima volta non si sente normale nel suo conformismo borghese, rifiuta di continuare la sua vita da automa. La sua scelta rivoluzionaria è però una scelta individualista, non si unisce alla rivolta degli studenti da cui si sente comunque distante.

La strada che prende è quella dell’odio, della vendetta, della distruzione. Decide di mettere una bomba ad un ballo mascherato dove si sarebbero trovate tutte quelle persone a cui per tutta la vita ha dovuto rispetto, obbedienza, ammirazione; sentimenti prodotti da un sistema sociale fondato su paura e repressione. Tre sogni consecutivi lo portano dall’ebbrezza della strage all’angoscia di scoprire di essere invece stato ancora una volta una pedina nelle mani di un potere enorme e disumano, rinforzato anziché colpito dal suo gesto. Nell’ultimo incubo si vede pronto a prendere il posto di suo padre, simbolo della conservazione di classe e del conformismo borghese, nel gigantesco ingranaggio di oppressione e vede tutta la meschinità e miseria di quella vita.

Svegliatosi dagli incubi prosegue la sua personale rivolta. Prepara una bomba da mettere al Parlamento ma sbaglia a sistemarla e questa distrugge solo un’edicola su cui campeggia, a sancire ancora la sua solitudine, la foto della sua ragazza, diventata improvvisamente famosa. Soltanto in carcere alla fine apprezzerà la superiorità dell’azione collettiva e preparando una rivolta dei carcerati, abbandonerà la strada dell’individualismo.
La stessa figura dell’impiegato, ricalca l’esperienza di un De Andrè emotivamente toccato dai moti studenteschi ma estraneo all’attivismo. Mescolandosi a vicende legate alla vita privata di quest’ultimo, come dichiara una Verranno a chiederti del nostro amore in realtà dedicata a una relazione affettiva del cantautore
Ad ogni modo, si parla di un’opera piuttosto controversa. Per un equivoco sulle intenzioni con l’allora co-autore Giuseppe Bentivoglio ma anche per una verbosità eccessiva e a volte contorta (Al ballo mascherato) riassorbita a fatica dall’impianto musicale. Quest’ultimo in bilico tra i prodromi di quella svolta progressive che avverrà definitivamente grazie alla PFM nel 1979 (con il doppio In concerto) e gli arrangiamenti classici di Nicola Piovani. A parte il folk di Canzone del maggio e Nella mia ora di libertà, il resto è mescolanza, intreccio tra modernità e tradizione. Con una La bomba in testa attualizzata dal sintetizzatore di Giorgio Carnini e dai ritmi sincopati della batteria di Enzo Restuccia; una Sogno numero due in cui rimembranze Jethro Tull stanziano il recitato imperioso del giudice che ringrazia l’impiegato per aver rafforzato con le sue bombe lo status quo; una Il bombarolo che parte come una marcetta popolare quasi comica nel descrivere l’attentato fallito, per poi concludersi con una coda orchestrale maestosa.
Una mescolanza affascinante ma non priva di debolezze, per un disco che rimane uno specchio fedele di un’epoca.

Antonio Elia
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