FACCETTA NERA ITALIANA IN PARLAMENTO

Tra le facce dei ministri del nuovo governo appare una stonatura. Si trova al centro della foto, tra il presidente del consiglio Enrico Letta e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Non è bella come le altre parlamentari, NEWS 1qualcuno sostiene a mo’ di insulto, che abbia il volto di una casalinga. È relativamente giovane e soprattutto: è nera. Non è mulatta, non ha i capelli lisci, non ha tratti europei che possano rendere accogliente la sua figura. No, lei è nera, nera, nera e con lineamenti inconfondibilmente africani. È il nuovo ministro per la cooperazione internazionale e integrazione, Cécile Kyenge, gettata allo sbaraglio nella fossa dei leoni per rendere meno amara la pillola che il PD ha fatto ingoiare ai suoi elettori.

Il ministero per la Cooperazione internazionale e integrazione è stato inaugurato dal governo Monti, con a capo il fondatore della comunità di S. Egidio, ex ministro Riccardi. Già da allora, pur senza eclatanti insulti a Riccardi, faceva discutere l’istituzione di un ministero che non si capiva bene come avrebbe dovuto agire. Integrazione, cosa significa? È forse il meticciato? E questo meticciato cos’è? Un miscuglio di cosa? Di razze o di persone?

Da un po’ di anni, l’Italia ha iniziato a fare i conti con parole come cultura, identità, etnia e di conseguenza anche razzismo. Sono parole che oggi giorno troviamo spesso strumentalizzati dai mass media, che ne travisano il significato, e nella retorica politica, dove il discorso migratorio è ridotto a un semplice fenomeno di sicurezza pubblica. Nessun NEWS 2governo fin’ora ha mai cercato di avviare delle vere politiche di integrazione, indicando la strada di un processo di evoluzione comunitaria che porti ad una relazione di pacifica convivenza tra i cittadini autoctoni e i cittadini immigrati. L’instaurazione di un ministero che si occupi di questa problematica sta ad indicare la consapevolezza di far parte di una società multiculturale, nella quale vivono cittadini con diritti e altri con meno diritti.

Il neo ministro dovrà porre le basi per promuovere un dialogo tra le culture, incominciando dall’abc dell’integrazione, cioè definire il significato della parola cultura. Scegliere tra un percorso che vede la cultura come un caratteristica ben definita, fissa e omogenea di una società, oppure, come un sistema aperto in un continuo divenire e che crea in maniera automatica spazi di scambio con gli altri. Saper concepire le differenze senza cristallizzarle in barriere impenetrabili che devono essere difese dagli altri, ma semplicemente come delle frontiere di scambio, è la rivoluzione culturale che la Kyenge è chiamata a compiere attraverso il suo ministero e con l’impatto che sta producendo la sua carnagione.

In un paese dove non si è mai fatto un concreto lavoro di mediazione culturale, all’infuori delle piccole associazioni territoriali, impreparato ad accogliere perché fino a ieri la paura dell’immigrato è stato, ed è un tema determinante per il consenso elettorale. Un paese dove aumentano in maniera crescente gli episodi di razzismo, che legittima la presenza in parlamento di un partito xenofobo. In un paese che ancora non concepisce l’uguaglianza degli esseri umani e che si trova in un momento storico in cui la rabbia popolare sta raggiungendo dei picchi molto alti, è stata mandata una Cècile Kyenge, nera, a distrarre gli animi di tutti gli irritati del PD che hanno scoperto in essa una vena non proprio di sinistra, e a fare da capro espiatorio alla frustrazione popolare.

L’Italia ha bisogno di politiche dell’integrazione ma ancora una volta l’essere neri sembra essere materia di strumentalizzazione politica. Assegnare un volto nero al ministero della Cooperazione internazionale e integrazione è un vero atto di cambiamento o pura ipocrisia?

Nseki Aline Kabwiku