Neapolis Festival 2010

ImmagineOk, lo so. Piazzare un festival a Napoli che va dalle 5 del pomeriggio a notte tarda, in pieno luglio, senza una fontanella o simili, forse è una mossa un po’ avventata. Ma sta di fatto che il risultato, anche se le teste bruciano, resta eccezionale. Il Neapolis Festival è oramai diventato un simbolo dell’estate partenopea, un simbolo che partendo dal basso dai gruppi locali è riuscito ad espandersi sempre più, arrivando a raggiungere prima i big nazionali, e poi quelli internazionali. Se l’anno scorso era stato il turno dei Prodigy, questa anno lo scettro è passato in mano a FatBoy Slim, per la prima serata, e Jamiroquai e Yann Tiersen per la seconda, accompagnati da altri gruppi dello scenario nazionale. Andando per ordine, il concerto èstato aperto da un paio di gruppi emergenti come JFK & La sua bella bionda e Captain Swing, col compito di iniziare a scaldare il pubblico già bollente a causa della temperatura…si sono alternati poi sul palco i Trikobalto,The Morning Benders e i Milk White, per arrivare poi ai perturbazione, gruppo molto bravo a mantenere viva l’attenzione del pubblico, con i loro pezzi contraddistinti dai testi poetici e melodie dolci; il palco è stato poi ceduto agli Atari che hanno fatto saltare il pubblico a più non posso, per poi arrivare all’ingresso sul palco dei 24 Grana, band napoletana ormai emersa dal contesto di “gruppo di nicchia” e pronta ad affacciarsi sul panorama del rock nazionale con grande valore, capaci di trasmettere energia da sopra al palco per farti saltare e pogare fino alla fine del concerto.

Prima del gran finale, il palco ha visto protagonista il francese Yann Tiersen, che ha a quanto pare messo da parte le sue melodie dolci per affrontare un live rock non privo però di tutte le caratteristiche che lo hanno sempre contraddistinto, una musica che si può definire onirica e d’estasi, capace di far sognare chi l’ascolta.

E alla fine è arrivato il turno dei Jamiroquai, capitanati dal loro frontman Jay Kay, che sul palco mostra un energia ineguagliabile saltellando da un lato all’altro senza mai fermarsi, accompagnato dagli imponenti giri di basso che alimentano un acid jazz che non ti permette di stare fermo.

Una serata non facile da dimenticare, anche se, a dover dire la verità, non la migliore nella storia del festival. L’unico problema, per l’anno prossimo, sarà cercare di far capire agli organizzatori che l’acqua è un bene prezioso, e non possono costringerti a buttare la tua prima di entrare, per fartela poi ricomprare dentro a prezzi maggiorati.

A cura di Simone De Michele